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Un’imbarcazione di nome “Jesus” schiacciata da una roccia in Brasile. Perché Dio lo ha permesso?

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Ricardo Sanches - pubblicato il 12/01/22
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“Dov'era Gesù in quel momento?”, si sono chiesti molti notando l'apparente paradosso nel fatto che l'imbarcazione portasse il Suo nome e che i suoi passeggeri siano rimasti vittime della tragedia

L'8 gennaio, una grande roccia vicina a una cascata è crollata nella riserva di Furnas a Capitólio, nello Stato brasiliano di Minas Gerais. La riserva è una meta turistica gettonata, e al momento del crollo erano presenti sul posto varie imbarcazioni. Quella chiamata “Jesus” è stata la più colpita.

Secondo il portavoce del dipartimento dei vigili del fuoco locali, Pedro Aihara, sull'imbarcazione c'erano dieci turisti, tutti morti nell'impatto. Altri turisti che viaggiavano su imbarcazioni diverse sono rimasti feriti, e almeno due sono stati ricoverati.

La stampa locale riferisce che le dieci persone morte sulla “Jesus” appartenevano alla stessa famiglia. Tra loro c'era anche un bambino.

Le intense piogge recenti sono ritenute la causa dell'incidente. Il video mostra il momento del crollo e il panico che si è diffuso tra i turisti (Attenzione! Alcuni potrebbero trovare il video troppo crudo).

Dopo che è stato reso noto il nome dell'imbarcazione colpita, “Jesus”, molti sono rimasti colpiti e hanno cominciato a parlare di “paradosso” per il fatto che sia stata colpita dalla tragedia. “Dov'era Gesù in quel momento?”, si sono chiesti.

Alcuni hanno anche ricordato il passo del Vangelo di Marco che narra l'episodio in cui Gesù si trova sulla barca con i discepoli quando una tempesta riempie l'imbarcazione d'acqua, ma Lui calma la tempesta e tutti sopravvivono.

È chiaro che questo passo biblico – come molti altri – non può essere interpretato in modo letterale, né si può tentare di usarlo per mettere in discussione il motivo per cui Gesù non avrebbe salvato dalla morte i passeggeri di un'imbarcazione che porta il Suo nome.

Perché Dio permette tragedie naturali?

Nei disegni divini, c'è molto che la nostra condizione umana non riesce a comprendere. Perché permetterebbe che una roccia cada su un'imbarcazione che porta il nome di Suo Figlio e uccida dieci altri Suoi figli?

La risposta può essere difficile, ma è certo che Dio non è indifferente alla nostra sofferenza. Non si può dire che le tragedie siano “opera di Dio”, almeno non nel senso di essere desiderate da Lui come tali. Anche in queste situazioni disastrose, la sofferenza di Cristo è unita a quelle delle persone coinvolte, perché Gesù tenta di portarci tutti a Sé.

Eventi come questo sono una punizione divina?

Nella lettera apostolica Salvifici Doloris, Giovanni Paolo II ricorre all'esempio di Giobbe per illustrare come le catastrofi non possano essere considerate punizioni di Dio. La vita di Giobbe è stata piena di sofferenza, e i suoi amici dicevano addirittura che doveva aver commesso qualcosa di negativo per meritare tanto dolore, ma il Papa avvertiva:

“Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione. La figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell'Antico Testamento. La Rivelazione, parola di Dio stesso, pone con tutta franchezza il problema della sofferenza dell'uomo innocente: la sofferenza senza colpa. Giobbe non è stato punito, non vi erano le basi per infliggergli una pena, anche se è stato sottoposto ad una durissima prova”.

In sostanza, non possiamo dire che Dio punisca, che mandi tragedie naturali e la morte per metterci alla prova, ma possiamo affermare che attraverso il nostro dolore ci invita ad avvicinarci a Lui, a un Dio che non ha risparmiato la sofferenza neanche a Suo Figlio.

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