Presto la piccola mangiatoia dei nostri presepi non sarà più vuota. Nella notte di Natale, in milioni di case di tutto il mondo, dei bambini deporranno nella paglia il loro Bambinello – di stoffa, di plastica o di gesso – gli occhi scintillanti di stupore e di meraviglia.
Questo tempo di Avvento è una dolce veglia dell’anima in cui attendiamo la nascita del Salvatore. Esso è pure quello della presa di coscienza del miracolo dell’Incarnazione, che è consistita – per Cristo – nel rivestire la nostra umanità e nel vivere i nove mesi prenatali che precedono ogni nascita. Egli si è voluto così prossimo che ha scelto di percorrere tutta la nostra vita, dal primo all’ultimo istante.
Dio avrebbe potuto scegliere di arrivare sulla terra nella pienezza dell’età in una nube di gloria. E invece… no: si è fatto embrione. In seno a una famiglia e tra relazioni umane. Non è commovente dirsi che Gesù ha cominciato la sua vita come una cellula prima e unica, animata in quel preciso istante da quel medesimo principio vitale che anima ciascuno di noi. E perché tutto questo? Perché anche noi siamo stati proprio questo, nel nostro primo istante: una prima e unica cellula.
L’embrione è l’architetto di sé stesso
L’esistenza dell’essere umano è un processo evolutivo e continuo che comincia a partire dalla prima cellula prodotta dalla fecondazione – lo zigote. È un processo continuo al quale i nostri cervelli non sono abituati – noi conosciamo piuttosto il sistema di costruzione che avviene pezzo dopo pezzo, come si assembla una macchina o un giocattolo. Per l’embriogenesi avviene una cosa completamente diversa: i pezzi non si avvicendano staccati uno dopo l’altro; l’embrione è invece l’architetto di sé stesso, e tutte le tappe sono già previste fin dallo zigote, secondo un programma ben definito.
Il piccolo corpo in divenire, in crescita, obbedisce incessantemente al medesimo principio di vita, sovrano e originale, che esiste fin dalla fecondazione. In fondo, lo zigote è la cellula fondatrice, in esso è già contenuta tutta la potenza dell’essere umano. Fin dal primo istante della sua esistenza, l’embrione è umano, anche se i caratteri umani visibili non emergono se non nel corso della propria evoluzione: del resto questa prima cellula è perfino già sessuata: i suoi cromosomi sono XX o XY, immancabilmente, e dunque annunciano il corpo di un bambino o di una bambina. Mano a mano che questa magistrale costruzione va avanti, non interviene alcun cambiamento di natura né di grado né di valore: l’embrione dunque non è un “progetto parentale”, è un progetto di sé stesso. È la sola entità al mondo capace di edificare sé stessa.
Devo dire che l’embriologia è una scienza che ha affascinato molto la giovane studentessa di Farmacologia che sono stata: mi pare ieri che all’una di notte suonata ancora ripassavo l’ammirabile sviluppo del cuore umano, e sottolineavo e appuntavo con i miei maldestri segni di matita quella coreografia di vita, e mi ripetevo sottovoce tutti quei nomi eruditi – conotruncus, bulbus cordis… – che tanto precisamente la descrivevano.
Un prodigio misterioso
Contemplare come “il Cuore che ha tanto amato gli uomini” abbia seguito il medesimo processo mi meravigliava e mi lasciava senza voce, in silenzio come un embrione. Un grande silenzio, aderente a ciò che è invisibile ai nostri occhi. Prodigio misterioso: tutti siamo stati quella cosa di cui nulla ricordiamo. L’embrione è nostro simile – non nello spazio ma nel tempo –, ed è quanto mai necessario esserne oggi dei portavoce. Già 1.800 anni fa così nettamente si esprimeva Tertulliano, con tenacia e fiducia:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]