Mons. Michel Aupetit non è più l’Arcivescovo di Parigi, giuridicamente già dal 2 dicembre 2021, ossia da quando papa Francesco ha accettato le sue dimissioni, e dopo la messa presieduta venerdì 10 dicembre a Saint-Sulpice non lo è più in alcun senso: le funzioni dell’Ordinario vengono fin d’ora coperte dall’Emerito di Marsiglia, mons. Georges Pontier, e si attende che la Santa Seda provveda in modo più stabile alla cura pastorale della diocesi dei Parisii.
Una vicenda restia a lasciarsi archiviare
Tutto ciò non significa, nel modo più assoluto, che il caso Aupetit sia chiuso: non lo è sul piano umano, non lo è su quello giuridico e tantomeno lo è su quello ecclesiastico. Lo si presentiva bene vedendo mons. Aupetit scuotere drammaticamente l’indice destro durante l’omelia:
E quando gli applausi dell’assemblea lo hanno interrotto lui ha scosso il dito, per poi proseguire:
E in un altro spezzone di forte effetto, nell’omelia, Aupetit ha declinato “l’alfabeto dell’amore divino”, che non può fermarsi all’ABC ma deve arrivare alla lettera Z:
La televisione cattolica KTO ha pubblicato il video integrale della messa di ringraziamento e di saluto dell’Arcivescovo Emerito di Parigi, raccogliendo in meno di quattro giorni quasi centomila visualizzazioni, tremila like… e neanche (al pomeriggio del 13 dicembre) un “pollice verso” sul canale YouTube.
Chiunque può constatare agevolmente come il canale abbia più di mezzo milione di iscritti, ma i video che registrano visualizzazioni a cinque cifre sono pochi, perlopiù legati ai servizi liturgici da Lourdes, e nessuno sembra avvicinarsi neppure lontanamente alla viralità della messa di saluto all’Arcivescovo Emerito di Parigi. È difficile non registrare, ad esempio, che attenti osservatori delle attualità ecclesiali parigine abbiano giudicato severamente la (pur giustificata) solerzia pontificia nell’accogliere le dimissioni… e pure che non pochi confratelli nell’Episcopato hanno manifestato al Dimissionario aperta solidarietà…
Il pastorale parigino è dunque stato strappato dalla mano di mons. Aupetit, ma certamente non in silenzio, né – si può presumere – con una modesta serie di effetti: a 71 anni un arcivescovo titolare si trova certamente nella fase discendente del proprio ministero diocesano, ma alla stessa età un vescovo libero, in vista e che non si sia effettivamente macchiato di gravi colpe, ha virtualmente davanti a sé un orizzonte ben più profondo e ampio… In questa settimana una delegazione dei Vescovi di Francia incontra il Romano Pontefice, e certamente il destino di Parigi e quello di Aupetit saranno toccati in riunione: ne deriverebbero conseguenze che potrebbero essere apprezzate già nel breve o medio periodo.
La lezione dell’“amica di Aupetit”
Come spesso accade ai diffamatori, raramente essi riescono a sondare la portata delle loro azioni: la passeggiata con una donna (peraltro di aspetto gradevole) è dovuta sembrare un colpaccio, ai redattori del rotocalco francese che intendeva infangare Aupetit; si dà ora il caso che quella donna fosse non solo una vergine consacrata e una collaboratrice dell’Arcivescovo (nell’àmbito dell’ISSR parigino e del Collège des Bernardins), ma pure un consultore – non “consultrice”, ha più volte precisato ella stessa – della Congregazione per la Dottrina della Fede. Una delle poche donne chiamate a questo delicatissimo compito. Lætitia Calmeyn è insomma una giovane amica di mons. Aupetit che continuerà (ad incertum tempus) a fare la spola tra Parigi e il Vaticano.
Questa giovane e intelligentissima consacrata ha rilasciato ieri un’intervista a Céline Hoyeau per La Croix. Vi evidenziava anzitutto un fatto:
In altre parole: i giornali laici francesi non hanno avuto riguardo di una donna evidentemente estranea alla faccenda che aveva causato la crisi dell’Arcivescovo, pur di colpire quest’ultimo nelle ore più dure della sua crisi personale. Ancora più nel dettaglio: la stampa anticlericale si è lasciata armare come braccio secolare delle correnti clericali che hanno minato la cattedra di Aupetit, e queste hanno concorso con quella nel diffamare una persona innocente diventata sospettabile per il solo fatto di essere donna. C’è perlomeno del paradossale, in ciò.
Ma poiché Lætitia Calmeyn è una fine pensatrice e non una femminista d’accatto la sua osservazione si è spinta oltre:
E cosa sarebbe questo riferimento ai carismi?
Non è – una volta di più – la rivalità delle donne che può disarmare l’aggressività misogina (talvolta presente nel clericalismo), ma la presenza femminile, materna e amorevole, delle amiche e delle sorelle in Cristo. Non è stato senza un guizzo di ardimentosa “bravura” che mons. Aupetit ha richiamato nei primi tornanti dell’omelia, fra degli altri, l’episodio (narrato in Gv 4) dell’incontro di Gesù con la Samaritana (la liturgia aveva invece proclamato la pericope di Mt 11,16-19): «L’amore rende liberi, ma fa correre dei rischi». Sono questi uomini liberi – maschi e femmine, come «da principio Dio li creò» – a far risplendere nelle pagine della Chiesa una gloria paradossale sempre ulteriore ai disegnucci mondani.