Il 18 marzo la Spagna è diventata il quarto paese d’Europa, dopo l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, ad aver ufficialmente legalizzato l’eutanasia. Anche in Francia il tema del fine vita è tornato di attualità, nonostante le vibranti proteste del grande scrittore Michel Houellebecq. Mentre in Italia, come si sa, il radicale Marco Cappato e l’associazione Luca Coscioni hanno promosso la campagna “Eutanasia legale” per chiedere un referendum ad hoc, trovando importanti “sponsor” sia nel mondo dello spettacolo che in quello della politica.
Per farla breve: in giro per il mondo c’è tanta voglia di “buona morte”. Un’ansia che appare perlomeno paradossale, per non dire incomprensibile, in un tempo di pandemia dove si proclama a gran voce di voler salvare più vite possibili.
Terapia dello shock: il disastro come pretesto
In realtà c’è poco da stupirsi perché, al di là della retorica, chi vuole imporre certe agende politiche sa benissimo che le calamità sono periodi assai propizi per accelerare (o iniziare) determinati processi sociali. Già da tempo la giornalista Naomi Klein ha documentato infatti l’esistenza di un capitalismo dei disastri che considera le catastrofi (guerre, uragani, terremoti, inondazioni, incendi, carestie, epidemie ecc.) come splendide opportunità di mercato.
Per attuare questo edificante programma il capitalismo dei disastri adotta una «terapia dello shock». Il trucco è semplice e di sicuro successo: sfruttare cinicamente lo shock emotivo, il disorientamento e la paura della popolazione per privare i più deboli dei loro diritti fondamentali. Questo perché, spiega Naomi Klein, «capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti». E così diventa possibile «usare i momenti di trauma collettivo per dedicarsi a misure radicali di ingegneria sociale ed economica».
It's the economy, stupid!
Qualche esempio di questo genere di manovre? Quando nell’agosto del 2005 l’uragano Katrina sferza New Orleans il disastro offre il pretesto per radere al suolo il sistema delle case popolari (gravemente danneggiate dal cataclisma) per sostituirle con dei condomini. Pochi mesi dopo il disastro il teorico iperliberista Milton Friedman scrive un editoriale sul “Wall Street Journal” dove sbandiera la sua ricetta anticrisi: la devastazione dell’uragano, sostiene, è stata sì una tragedia, ma anche una grande opportunità per riformare radicalmente (e permanentemente) il sistema scolastico. Neanche a dirlo, la proposta di Friedman mira a privatizzare il sistema educativo. Bene, in poco tempo le scuole pubbliche di New Orleans passano dal 123 a 4 mentre le scuole private aumentano di numero: da 7 salgono a 31. Molti insegnanti pubblici perdono il posto e quelli riassunti nelle scuole private si vedono ridurre il salario.
Un altro esempio tra i tanti: nel 2004 un devastante tsunami flagella l’Oceano Indiano causando centinaia di migliaia di morti e innumerevoli danni materiali. Moltissimi pescatori locali vedono sparire le proprie case. Parecchi mesi dopo in Sri Lanka, uno degli stati colpiti dal violentissimo maremoto, una cordata di investitori stranieri e di prestatori internazionali inizia a costruire una serie di grandi villaggi turistici in prossimità del mare e impedisce ai pescatori di ricostruire le loro abitazioni. L’operazione non incontra alcuna resistenza da parte del governo locale che anzi se ne esce con questo annuncio sconcertante: «Con un crudele rovescio di fortuna, la natura ha offerto allo Sri Lanka un’opportunità unica, e da questa grande tragedia sorgerà un importante polo del turismo internazionale».
A questo punto, una volta compresa la tattica, non è difficile unire i puntini. A cosa mai può servire l’eutanasia? In una popolazione molto anziana come quella italiana, ad esempio, può servire a ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia (e delle cure mediche) sulla spesa pubblica. Lo fa osservare anche Mario Adinolfi, impegnato a contrastare la propaganda eutanasica: «Queste campagne sull’eutanasia servono a contrarre i costi del welfare perché curare un malato di Sla costa tantissimo mentre somministrare il farmaco che ammazza i cavalli costa 13 euro». Se poi arriva la sponda di qualche ministro che confessa di trovare urgente una legge sul fine vita, i giochi sono fatti o quasi…
Una “buona morte” per gli inefficienti
Ma l’economia non è tutto. Non bisogna dimenticare una cosa: che l’eutanasia è il frutto coerente di una ben precisa filosofia di vita che esalta l’onnipotenza dell’uomo e intende sbarazzarsi di tutto ciò che la ostacola, a cominciare dai membri meno efficienti della società.
Chi più lucidamente ha previsto questa lenta ma inesorabile deriva è stato forse lo scrittore (e sacerdote cattolico, convertito dall’anglicanesimo) Robert Hugh Benson nel suo visionario racconto Il Padrone del mondo, un romanzo d’anticipazione – molto apprezzato e consigliato, tra le altre cose, dagli ultimi due papi – che narra di un mondo contrassegnato dal trionfo dell’umanesimo ateo e del cosmopolitismo.
Nella storia pubblicata da Benson nel lontano 1907 una organizzazione sociale ibrida – quel mix di capitalismo e comunismo che ritroviamo nel socialismo fabiano – permette la sopravvivenza di un simulacro di democrazia solo per meglio soggiogare le masse, sottomesse a un controllo mentale collettivo.
Un umanesimo ateo
La religione di questo mondo, come si è detto, è un umanesimo ateo: un cattolicesimo senza senso del soprannaturale, un panteismo dell’immanente che divinizza l’uomo. La prima lezione del nuovo vangelo umanitario si riassume nel motto «Iddio non esiste, ma esiste l’uomo». «Non esiste Dio trascendente, il vero Dio, che solo può essere conosciuto, è l’uomo». Con queste parole sintetizza la propria fede uno dei personaggi principali del libro, il deputato comunista Oliver Brand.
Brand non perde occasione per esternare il suo profondo disprezzo verso il cattolicesimo. Fedele al dettato della psicologia, considera la fede cattolica (da lui definita «una religione barbara e sciocca», «la forma di fede più assurda e assolutistica») come un effetto della suggestione. E per giunta, colpa imperdonabile, questa «detestabile dottrina» si è opposta e ha ritardato «il diffondersi dell’eutanasia, metodo carico di pietà».
In questo mondo così simile al nostro, l’eutanasia ha un posto centrale. La società umanitaria è un paradiso rasoterra, sazio e disperato, chiuso a ogni ipotesi trascendente. L’eutanasia appare così come la soluzione più efficace e utile per sedare il dolore fisico e, soprattutto, il dolore spirituale della disperazione. Il suicidio, non a caso, è considerato il più alto gesto di carità.
Tanto è vero che il rito eutanasico appare una sorta di contro-sacramento. A somministrare l’eutanasia per conto dello stato sono degli appositi ministri che, circondati da un’aura parareligiosa, aiutano gli esseri inutili e moribondi ad andarsene. In tutto il paese esistono poi le cosiddette Case di rifugio dove si può ricevere l’eutanasia in tutta comodità, assistiti da infermieri. Per ottenere l’eutanasia occorre sostenere un esame di fronte a un magistrato esplicitando il motivo della richiesta e i dati anagrafici. Otto giorni dopo è possibile riceverla.
L’umanitarismo è un totalitarismo
La religione dell’uomo ricerca l’estremo perfezionamento del progresso materiale e intellettuale. Ma approda a un progetto totalitario che non tollera critica alcuna e si giustifica in nome della pace, della fratellanza e del progresso. Come spiega Oliver Brand, «condizione ineliminabile per la costituzione di questa Gerusalemme terrestre, cioè del vero progresso, era, senza ombra di dubbio, la pace. Come si poteva pensare che fosse invece la spada portata da Cristo e abbruttita da Maometto? Doveva invece essere una pace che nasce dalla conoscenza, non dall’ignoto, una pace che nasce dalla consapevolezza che l’uomo è tutto e che, solo con la cooperazione solidale di tutti, egli può evolversi al meglio».
In questo quadro che appare perfetto cominciano però a apparire le prime incrinature. Come quando Mabel, la moglie del membro del Congresso Brand, assiste all’intervento dei «ministri dell’eutanasia» che si precipitano per abbreviare l’agonia di una persona ferita a morte in un incidente. Ma prima che riescano ad arrivare sul luogo dell’accaduto, un prete in incognito è riuscito a prendersi cura del morente e a conferirgli l’estrema unzione.
Scossa e traumatizzata, Mabel vuole saperne di più su quella religione dimenticata che sembra capace di portare la pace alle anime tormentate, ma il marito riesce a dissuaderla: «In cuor tuo», le dice, «sai, ora, bene, che i veri preti sono i ministri dell’eutanasia! Non è vero?». E così Mabel, desiderosa di pace, finisce per entrare in una clinica di eutanasia volontaria. Mentre la sua vita si spegne tuttavia ha una sorta di visione e in un lampo le si rivela tutta la menzogna della religione umanitaria.
Il nuovo messia umanitario
La pace sembra infine realizzarsi grazie all’ascesa di un enigmatico uomo politico: Julien Felsenburgh, un leader carismatico dalla personalità irresistibile. Sebbene sia poco più che trentenne, Felsenburgh si rivela un oratore eccezionale. Si presenta come pacificatore universale e vertice della sapienza umana. In effetti sembra possedere ogni virtù intellettuale e morale: poliglotta e incorruttibile, affascina le masse di tutto il pianeta che lo acclamano come un novello messia. In poco tempo finisce così per essere eletto presidente del mondo.
L’eutanasia viene presentata come una opzione da scegliere liberamente. Ma è un inganno: i più deboli e i cristiani, come l’anziana madre di Brand, sono eutanasizzati a forza. E mano a mano che cresce il potere di Felsenburgh (il quale, come ben presto si scopre, impersona l’Anticristo) si assiste a una progressiva estensione dell’eutanasia che si fa sempre più coercitiva. In ultimo viene imposta per legge ai «soprannaturalisti» cristiani – cioè ai cattolici – bollati come «massimo ostacolo al consolidamento dell’umanità». È il preludio dell’ultima e terribile persecuzione lanciata da Felsenburgh per cancellare la religione cristiana dalla faccia della terra.
Far vivere e far morire
Il vero volto della religione umanitaria si rivela appieno quando raggiunge l’egemonia e così, rivestita di un potere immenso, si fa strada nelle coscienze facendo professare i suoi dogmi a tutta l’umanità.
È allora che Felsenburgh dà questa terrificante definizione del nuovo ordine politico: «Il potere che sana le ferite, è quello stesso che le produce; colui che riveste il suolo di alberi e di erbe, li sconquassa e li annienta con la siccità e con le burrasche; colui che spinge la pernice a morire per i suoi nati fa sì che la gazza invece se ne ingrassi».
Profeta di un mondo dove l’uomo è insieme creatore e decreatore, Felsenburgh si presenta come un sovrano onnipotente che come crea la vita dal nulla (in laboratorio magari) può anche ricacciarla nello stesso nulla da cui è stata tratta.
È il manifesto di un potere sconfinato, idolatrico, che fa vivere o fa morire, che crea la vita o la annienta a sua discrezione. Ecco cosa sta dietro all’eutanasia. Non certo l’amore della libertà, dell’umanità o del progresso ma il morbo stesso dell’attività politica: l’illusione dell’onnipotenza.
Diceva Chesterton: gli «uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità finiscono col combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa».
Si può forse dargli torto?