Che ci fa la Santa Sede nelle Nazioni Unite? In realtà, la presenza del Vaticano come membro osservatore permanente permette al Papa di dare voce ai drammi e preoccupazioni di milioni di persone, che altrimenti rischiano di rimanere dimenticati.
Ce lo spiega in questa intervista l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.
Nato a Milano, da piccolo non poteva immaginare una sorte come questa: portare la voce del Papa nel consesso delle Nazioni.
Questa settimana ha rilasciato il premio Path to Peace Award al Segretario Generale dell’ONU António Guterres.
Ecco le sue confidenze.
La gioia del Vangelo, come si vive e comunica nelle Nazioni Unite?
Alle Nazioni Unite arrivano i drammi e i maggiori problemi del mondo di oggi, ma anche le grandi e migliori aspirazioni dell’umanità. Nel dialogo e nel rispetto, nella comprensione e nell’ascolto si apre la strada per condividere la buona notizia della vicinanza di Dio e della solidarietà fraterna, che può animare una profonda amicizia sociale all’altezza delle sfide globali.
La missione del rappresentante papale nelle Nazioni Unite: promuovere l’agenda del Papa in un’ambiente che non sempre lo accetta?
La missione della Chiesa trova la stessa accoglienza o rifiuto che lo stesso Signore ha sperimentato e di cui ha parlato ai suoi discepoli. In realtà c’è molto rispetto ed attenzione per le posizioni della Chiesa e del Santo Padre, soprattutto perché sono sostenute dal silenzioso e concreto operare delle moltissime e radicate realtà ecclesiali che in tutto il mondo, ma soprattutto nei Paesi più poveri, cercano di alleviare le sofferenze e le ferite dell’umanità e aprono alla speranza e all’impegno a favore di un mondo più giusto, fraterno ed anche riconciliato.
Come si vive da arcivescovo e diplomatico senza avere delle difficoltà?
Il punto non è non avere difficoltà, ma cercare di fare la cosa giusta, portando eventualmente anche le conseguenze che vi possono essere, ma con un approccio che tendenzialmente cerchi di creare “ponti” e non “diaframmi”, sempre rispettando la libertà e responsabilità di ognuno.
Il Papa sembra avere un’agenda centrata su migrazioni e persone vulnerabili, cura della natura, pace e disarmo. È così, o sono i media ad amplificarli?
L’agenda del Santo Padre è molto più ampia, ma certamente ci sono coincidenze e reciproca interazione con molti dei temi che le Nazioni Unite promuovono di volta in volta sia con il presentarsi di questioni annose non risolte o nuove legate all’evolversi della società.
Cosa apprezzano di più, i paesi con cui dialoga, della Santa Sede?
La domanda sarebbe da porre a loro, ma probabilmente penso siano due gli aspetti che suscitano rispetto e considerazione: la prospettiva universale insita nella “cattolicità” e la libertà di non essere legata a nessun “gruppo”, da interessi economici, militari, geopolitici, ma ancorata a dei valori profondamenti umani, fondati nella dimensione trascendente della persona e quindi capace di rivolgersi a tutti e a tutte le dimensioni dell’umano.
Path to Peace è un premio che segna una volontà di promuovere la pace e visualizzare chi ne è difensore. Cosa distingue il premio quest’anno?
La premiazione, sospesa lo scorso anno a motivo del Covid, voleva richiamarsi al 75mo anniversario di fondazione delle Nazioni Unite ribadendo il ruolo decisivo che tale Organizzazione svolge per la pace, lo sviluppo, i diritti umani e la legalità nel mondo odierno. Il Premio conferito al Segretario Generale consolida una tradizione, poiché il primo fu assegnato nel 1993 all’allora Segretario Generale, Boutros Ghali, e poi di nuovo nell’anno 2000, a Kofi Annan. Non va dimenticato inoltre la significativa udienza di Papa Francesco tenutasi in Vaticano con il Segretario Antonio Guterres ed il loro inedito, ma importante, messaggio congiunto in vista appunto delle celebrazioni del 75mo dell’Organizzazione, avvenuto poco prima di Natale, il 20 dicembre 2019.
Lei da piccolo, immaginava trovarsi in una sede come questa a NY, difendendo i valori del Vangelo da un posto così rilevante?
Certamente no, non solo da piccolo, ma neppure da grande. Fondamentalmente ho affidato la vita al Signore ed è Lui che manda là dove Egli vuole, attraverso il discernimento della Chiesa.