I cristiani che sono stati in Terra Santa se ne portano spesso dietro un ricordo forte, pur nella sua ambivalenza: in moltissimi sono segnati, per esempio, dalla confusione che regna nella basilica dell’Anastasis, o dalla moderna sporcizia di alcune città galilee che – magari a partire dalle ricche descrizioni di Maria Valtorta – immaginavano floride di vigne e uliveti. D’altro canto il ricordo del Lago di Tiberiade all’alba, o del deserto di Giuda all’imbrunire, basta e avanza per riempire di nuova comprensione la lettura di molte pagine scritturistiche.
S’impone dunque una duplice constatazione: da un lato certamente non è necessario viaggiare fino in Medio Oriente per essere cristiani (molti tra i più grandi santi non hanno mai visto Gerico eppure da Cristo hanno ricevuto non meno di Bartimeo); dall’altro il cristianesimo non è un platonismo o un altro sistema filosofico, del quale ci si impadronirebbe con la mera lettura di un libro, bensì è una religione rivelata, e rivelata in una storia – lunga e complessa – avvenuta in alcuni tempi e non in altri, in alcuni luoghi e non in tutti.
Un genere letterario antico e sempre da riscrivere
Con queste parole il Patriarca di Gerusalemme dei Latini ha presentato e benedetto un’opera al contempo letteraria e pratica, molto umile eppure ambiziosissima, agile e nondimeno imponente: due sacerdoti e un laico italiani infatti hanno raccolto le loro lunghissime frequentazioni (dal vivo), irrigate da studio pluridecennale, compendiandone il miglior rapporto fra sintesi e accuratezza in uno strumento da offrire al vasto pubblico. Di specialisti e di profani, di gente che sia andata in Terra Santa già dieci volte o che stia preparando il suo primo viaggio… oppure anche di persone che non prevedono di potercisi mai recare ma che non meno di chi possa viaggiare ha il vivo e naturale desiderio di comprendere meglio la storia della (propria) salvezza.
Si tratta di un genere letterario antico – quello odeporico – che in un certo senso nacque assieme allo storiografico (si ripensi ad esempio alle Storie di Erodoto…): è noto che già Melitone di Sardi, vissuto in pieno II secolo, attestò di essersi recato «fino al luogo in cui la fede è stata predicata e vissuta».
Dopo Melitone avremmo avuto, ben più da Occidente che da Sardi, l’anonimo pellegrino di Bordeaux, e ancora più da lontano sarebbe giunta la celebre Egeria a ricercare gli scenari e le atmosfere della Storia Sacra, narrando il tutto in opere destinate a far fare il viaggio, foss’anche solo nella lettura, alle amiche e ai correligionari cui non se ne sarebbe offerta la possibilità. Un viaggio dei piedi e della testa, dunque, funzionale al più essenziale – e sempre possibile, anzi doveroso – viaggio del cuore: mano a mano che il Vangelo e tutta la Scrittura si sono diffusi nel mondo i loro semi hanno suscitato schiere di credenti, i quali essendo uomini ragionevoli hanno sempre chiesto di poter meglio capire come siano avvenuti i fatti tanto determinanti per la salvezza di tutti, e dunque dove e quando.
Fin dalla tarda antichità, dunque, si sarebbero susseguiti gli itineraria sacra, e non soltanto in riferimento al viaggio in Terra Santa – intesa come la moderna terra contesa fra Palestina e Israele – ma a molte altre mete di pellegrinaggio devoto: il pellegrinaggio-tipo che si fa ai nostri giorni comincia dalla Galilea, gradualmente segue il corso del Giordano fino a Gerico, quindi risale a Gerusalemme e termina con la visita della Giudea. Gli itineraria antichi propongono invece scelte sorprendenti, cominciando spesso dall’Egitto e passando per la Mesopotamia (è storia sacra dei cristiani anche quella di Israele…), e prolungandosi nei viaggi degli apostoli, a partire da quello di Paolo.
Ecco perché per i cristiani medievali non ci sarebbe stata discontinuità fra il pellegrinaggio a Gerusalemme e quello a Roma o a Santiago: Terra Santa era tutta quella dove l’annuncio apostolico fosse stato avviato o fosse approdato, e ciò rendeva in qualche modo “santa” tutta l’ecumene. Molto correttamente, peraltro.
Questa stessa consapevole percezione sembrerebbe essersi un tantino sbiadita, nei secoli moderni, che hanno perlopiù ridotto l’itinerarium al solo teatro della vicenda gesuana (escludendo l’Egitto – ma chissà poi, chioserebbero gli esegeti, se Gesù sia mai stato in Egitto!), e il viaggio quasi alla “raccolta di prove” della verosimiglianza dell’esistenza storica di Gesù. Un’atrofia asfittica, rispetto all’ampio respiro degli itineraria antichi, i quali però non potevano più essere utilizzati (se non come letteratura) in quanto molti dei luoghi, e delle relative infrastrutture, erano (e sono) cambiati in epoche posteriori alle loro compilazioni.
I luoghi santi, infatti, non vengono certo conservati in naftalina, ma sono costantemente protesi fra l’esigenza di conservazione e quella di fruizione: nuove strade, nuove strutture, nuovi edifici sono sempre stati aggiunti per consentire a più persone possibile di fare al meglio l’esperienza del “santo viaggio”. Questo ha richiesto e imposto la costante produzione di nuove guide, donde si capisce come un tale settore non possa mai, in linea teorica, vedere esaurita la propria domanda.
L’esigenza collaterale, forte negli ultimi decenni, era che si producesse una guida in cui l’accuratezza della letteratura archeologica non venisse contrapposta al dato biblico, a sua volta sviscerato con competenza, bensì giustapposto ad esso, e che i due concorressero – come ai tempi di Egeria e dell’Anonimo di Bordeaux – a una presentazione mistagogica dei misteri celebrati nei luoghi santi dalle comunità cristiane.
Una trattazione-tipo: la piscina di Siloe
Alla sola piscina di Silone, sito non marginale ma neanche centralissimo, vengono dedicate nella Guida dei tre autori (legati al carisma del Cammino Neocatecumenale) sette pagine comprendenti due illustrazioni, due testimonianze storico-letterarie (extrabibliche) antiche, cinque citazioni bibliche (perlopiù neotestamentarie, ma non solo), due dalla letteratura rabbinica e una dalla patristica: queste le componenti cui si deve la tessitura di un continuum osmotico in cui la Bibbia, l’archeologia e la catechesi non sono tanto tre ingredienti di un libro, ma distinti elementi di un’unica vasta esperienza spirituale. Vi si legge, ad esempio:
E in uno degli ultimi paragrafi della voce si legge, in conclusione:
Qualche domanda a don Francesco Giosuè Voltaggio
Sembra di poter insomma salutare nel lavoro dei tre Neocatecumenali pubblicato dall’editrice napoletana Chirico un’opera candidata a corrispondere per più di qualche decennio almeno alla domanda sopra descritta. Del resto non poco è stato il tempo della gestazione dell’opera, del quale riferisce Voltaggio, uno dei tre autori:
L’opera è frutto di una preparazione remota – 19 anni di visite in Terra Santa, con spiegazioni, catechesi, foto eccetera – e una prossima – che ha occupato gli ultimi due-tre anni.
In merito all’assortimento delle penne (e delle competenze) dei tre autori Voltaggio risponde invece:
Io e Germano [don Lori, N.d.R.] viviamo insieme qui in Galilea, e abbiamo approfondito molte questioni bibliche e archeologiche sul campo insieme. Avevamo bisogno di un esperto nella lingua latina (per quanto anche noi la conosciamo) e per la redazione finale, per cui ci siamo rivolti a Mattia D’Ambrosi, che si è mostrato molto disponibile.
Quando a don Voltaggio è stata chiesta ragione della suddivisione in due volumi (il primo dedicato a Giudea e Negheb, il secondo a Galilea e Samaria), osservando che normalmente le guide procedono invece dalla Galilea alla Giudea, il presbitero ha risposto:
La Guida non è impostata sull’itinerario, come si vede, ma secondo un ordine alfabetico, per cui era indifferente cominciare con la Giudea o con la Galilea. Abbiamo voluto dare la precedenza alla centralità ideale di Gerusalemme, ma in realtà ciò che ci premeva era dividere in due volumi (senza dare alcuna importanza alla precedenza di uno o di un altro), in modo che il pellegrino possa portarsi – per quanto comunque con un po’ di peso – un solo volume quando visita i luoghi santi.
Il criterio-guida della suddivisione è stato dunque eminentemente editoriale-funzionale, più che contenutistico o concettuale. Vale la pena osservare a tal proposito che si accumulano in un punto diversi dei pregi e uno dei (rarissimi) difetti del prodotto: i due volumi assommano più di 730 pagine, complete di indici, mappe, tabelle, moltissime immagini, e per di più stampate praticamente tutte a colori; considerando che il formato non è piccolo, che la rilegatura è a colla e filo e che i volumi – in copertina rigida – sono offerti in un cofanetto a sua volta cartonato… i 50 euro del prezzo sono perfino pochi, ovvero sono un’offerta pensata per rendere l’opera appetibile a molte tasche. D’altro canto, se l’ambizione dichiarata è quella di fornire una guida che possa fungere da “manuale da viaggio”, oltre che da testo di studio… forse allora si potrebbe provare a immaginare una nuova edizione, di formato ridotto e in brossura (in caso anche con meno pagine a colori, per contenere i costi).
Dati la vastità degli indici e l’approfondimento delle singole voci, viene da chiedersi quali siano le rinunce che – «a malincuore», annunciano gli Autori nell’Introduzione – sono state fatte. Interpellato dunque sui tagli, don Voltaggio ha risposto:
Abbiamo cercato di dare la precedenza ai luoghi normalmente visitati dai pellegrini, più alcuni luoghi molto significativi per noi e alcuni villaggi arabi della Galilea (dove abbiamo le comunità, tra l’altro). Abbiamo scartato soprattutto le indicazioni più moderne, circa le case religiose, gli ostelli, i musei… Con dispiacere, ma una scelta la dovevamo fare. Diciamo che abbiamo dato la precedenza all’archeologia.