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Tertio Millennio Film Fest: quando il cinema si fa sguardo che cura

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Rocco Manuel Spiezio - pubblicato il 12/11/21 - aggiornato il 19/11/21
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“Questo è il cinema, i film che ci piacciono, che vorremmo camminassero nella storia che noi viviamo e ci aiutassero a vedere, a pulire i nostri occhi e a saper vedere il futuro nel presente”

Quale Cinema sa fissare lo sguardo sull'Uomo di oggi per prendersi cura del suo domani? 

Se lo sono chiesti alla Fondazione Ente dello Spettacolo quando si è trattato di scegliere il titolo per la nuova edizione del Tertio Millennio Film Fest, quest'anno giunto alla sua XXV edizione: “Prendersi cura. Quando il cinema guarda e non passa”. 

IL FESTIVAL

L’avvio ufficiale c’è stato il 9 Novembre alle ore 18,00 presso il Cinema Doria che per l'occasione ha riaperto i battenti dopo circa due anni di chiusura. Il primo giorno ha visto la proiezione di due lungometraggi (The Sleeping Negro, diretto da Skinner Myers - presente anche in sala dopo la proiezione - e De Oost, diretto da Jim Taihittu). Ai due film erano abbinati altrettanti cortometraggi (rispettivamente The letter room di Elvira Lind - candidato agli Oscar 2021 - e Wooden Sword di Sousan Salamat & Behzad Alavi). In Sala, oltre ai Direttori Artistici, Marina Sanna e Gianluca Arnone, e al Presidente della FEdS, Mons. Davide Milani, erano presenti le due giurie di qualità per i lungometraggi e cortometraggi, presiedute la prima da Giorgio Diritti (regista) e la seconda da Maria Roveran (attrice).

LA PRE-APERTURA, VISIONI DAI FUTURI POSSIBILI

Ma il festival ha avuto una pre-apertura del tutto speciale il giorno prima, l’8 Novembre, alle 17, presso la Filmoteca Vaticana per la consegna del Premio Fuoricampo. Presenti in sala, tra gli altri, il Prefetto del Dicastero della Comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini.

Il premio, alla sua III edizione, è assegnato collegialmente dal TMFF insieme ad altri due importanti festival italiani di cinema e spiritualità, il Religion Today di Trento e Popoli e Religioni di Terni. Presenti in sala i direttori artistici, rispettivamente Andrea Morghen e Arnaldo Casali. Anche questo è un segno nuovo, di collegialità che dà voce e rafforza lo sguardo su produzioni e film che si interrogano su ciò che è essenziale all'Uomo.

Quest’anno il film premiato è stato Futura, realizzato dai tre registi, Pietro Marcello, Alice Rohrwacher e Francesco Munzi. Quest’ultimo ha ritirato il premio, accompagnato in sala da Giulia Moretti, produttrice del film, da Gabriele Giuliano, per RAI Cinema Documentari che l’ha co-prodotto, e da Chiara Sbarigia, neo Presidente dell’Istituto Luce Cinecittà che distribuisce il film. La serata è stata moderata dal caporedattore della rivista Cinematografo, Valerio Sammarco.

L'AVVENTURA FUTURA

Munzi, Rohrwacher e Marcello, sulla spinta di quest'ultimo, hanno deciso di imbarcarsi in un viaggio cinematografico a tre. Si saranno certamente chiesti con quale occhio e quale cuore potersi inoltrare in un territorio così misterioso come quello dei giovani italiani. Sono partiti proprio alcuni giorni prima che scoppiasse in Italia la pandemia nel febbraio 2020. Non avevano alcuna sceneggiatura, solo una macchina da presa 16 mm e il desiderio di raccontare una generazione. Così hanno attraversato l'Italia tutta da capo a fondo, incontrando centinaia di giovani. E strada facendo, la domanda che più si è andata addensando è stata proprio quella sul futuro.

Un esperimento del tutto insolito quello dei tre registi. Cosa anche un po' folle. "Folle non tanto il progetto in sé, quanto l'idea di farlo insieme" dichiara Munzi. E a pensarci, non deve essere comoda come situazione di partenza per chi è abituato ad un ruolo di comando di un intero e complesso progetto. Ma si sa, proprio dalle circostanze scomode, quando si è chiamati a perdere il controllo e a lasciarsi portare, possono nascere esperienza luminose, accadere dei miracoliFutura ha qualcosa di questo.

A questi ragazzi e ragazze è stata offerta la possibilità di far emergere le loro voci come un coro armonioso. Il film è una parabola del loro sguardo sul mondo che li circonda senza troppi giri di parole o filtri davanti agli occhi.

Un'avventura alla ricerca dei sogni, delle paure, dei pensieri, delle visioni, delle emozioni di questa generazione, imbrigliata in un presente incerto, che presagisce la fine all'orizzonte. E anche lo stesso Munzi ne ha fatto esperienza diretta. "Una delle grandi scoperte di questo film, anche un po' terrorizzanti per me, è stata quella della fine del mondo". Per i ragazzi, ha concluso, "la fine del mondo appare scientifica, certa e anche prossima".

Ho, però, la sensazione che proprio una simile esperienza abbia significato proprio una risposta a quella vertigine di un'imminente apocalisse. Una via nuova possibile, in cui ci si sente meno in pericolo e la fine fa meno paura perché qualcuno si sta prendendo cura di noi. Perché in fondo siamo insieme a fare la strada.

Credo che questa possa essere la cifra più identificativa di quest’opera davvero corale. E al tempo stesso, costituisce una sorta di nuovo paradigma per questo tempo così insolito. E' come se esigesse da ciascuno che ne ha in abbondanza, di cedere tempo e spazio di protagonismo a chi stenta a trovarne. Questo film è la prova che è possibile operare così. Anche per questo il premio a Futura, da noi condiviso, è più che meritato.

L'ARTE DEL BUON SAMARITANO

Ma allora, ancora una volta, “quale Cinema sa fissare lo sguardo sull'Uomo di oggi per prendersi cura del suo domani”?

Come emerso dalle stesse parole di Mons. Milani, la domanda posta, lascia emergere in trasparenza il legame profondo con la vicenda evangelica del Buon Samaritano. Incrociando lungo la strada quello straniero assalito, malmenato e derubato dai briganti, seppe prima di tutto guardarlo, per poi prendersene cura. Come a dire che non ci può essere vera cura senza sguardo.

Tra le altre, una cosa possiamo affermare con indiscutibile certezza riguardo a Gesù Cristo: la sua vita ha rivoluzionato per sempre il modo di guardare Dio e il prossimo. Forse azzardo dicendo che non c’è arte più pronta per attualizzare l’esperienza di Gesù Cristo tra gli uomini che il cinema. Una macchina da presa può dar vita ad uno sguardo che sa farsi prossimo ad ogni uomo. Questo suggerisce una presenza viva ad ogni momento che in un'emozione rubata o provocata, in un sospiro raccolto e custodito, in una vertigine avvertita e condivisa può restituire una relazione con l’Infinito. Infinito che è Vita che pulsa ed erompe da dentro di noi e al tempo stesso ci sovrasta e ci proietta un po' meno incerti verso orizzonti sconfinati.

COSTRUIRE LA BELLEZZA DEL FUTURO

In questo il cinema può e sa “costruire la bellezza del futuro”, come ha detto Paolo Ruffini, che riprende Papa Francesco. Il pontefice, si sa, è un grandissimo sostenitore dei sogni dei ragazzi. Purché siano quei grandi sogni, radicati nell'oggi, ma anche nello ieri dei loro nonni. “Questo è il cinema, i film che ci piacciono, che vorremmo camminassero nella storia che noi viviamo e ci aiutassero a vedere, a pulire i nostri occhi e a saper vedere il futuro nel presente”. Così chiude il suo intervento il Prefetto del Dicastero.

Sarà anche per questo che Giovanni Paolo II, il “Santo Subito”, cogliendo la portata del "Novo Millennio Ineunte" diede l’impulso perché nascesse proprio questo festival cinematografico. E da quella enciclica il festival trae il suo nome e forse anche la sua prima forza. 

LA SERATA DI CHIUSURA

Il festival si è chiuso Sabato 13 Novembre, sempre al Cinema Doria. Si è partiti alle 18, per l’Evento Speciale Rinascita irachena di Laura Silvia Battaglia e Gianmarco Maraviglia. A seguire c'è stata la cerimonia di premiazione condotta da Federico Pontiggia, critico cinematografico della Rivista del Cinematografo.

I due direttori artistici, Marina Sanna e Gianluca Arnone, hanno condiviso un primo bilancio della XXV edizione: «Il più grande successo di questa edizione del festival è stato vedere gli spettatori fermarsi di fronte al cinema per confrontarsi su quanto avevano appena visto. I film che vogliamo al Tertio Millennio Film Fest sono quelli che ci aiutano a cercare un mondo nuovo e a capire come abitarlo».

Mons. Davide Milani, presidente della FEdS, si è unito ai direttori artistici: «È un'edizione che abbiamo voluto fortemente anche se le condizioni non erano ideali viste le vicende che viviamo. La Fondazione Ente dello Spettacolo ha bisogno di momenti di incontro e di nutrirsi di differenze poiché attivano quel processo grazie al quale il soggetto si espone. Questo festival è arricchito dalle differenze caratterizzanti il tavolo delle comunità che ne permettono la realizzazione e delle espressioni artistiche che ne sono protagoniste. La Fondazione vuole portare avanti questo esperimento che continua da venticinque anni, in forme nuove e adeguate ai tempi. Questa è stata un'edizione che ha vissuto di uno sguardo molto aperto».

Ha partecipato alla cerimonia di premiazione anche Mons. Stefano Russo, segretario della CEI: «Mi sembra evidente che l'intenzione della Fondazione Ente dello Spettacolo e cioè quella del 'Prendersi cura', come da titolo, sia riuscita. Il festival mi sembra sia perfettamente in linea con il cammino sinodale: il Papa ha infatti detto che incontrarsi significa mettersi in relazione».

LA PREMIAZIONE

Si è entrati così nel vivo della premiazione. Quattro sono state le opere premiate così come quattro sono state le giurie che hanno decretato i vincitori.

Miracol di Bogdan George Apetri è il miglior film per la Giuria Interreligiosa, presieduta dal regista Guido Chiesa. Gli altri componenti erano i delegati delle comunità cattolica, protestante, ebraica, musulmana, buddhista e induista. Tra questi, Giulia Bulckaen, Giuseppe Bellasalma, Sira Fatucci, Muhammad Umberto Pallavicini, Guglielmo Doryu Cappelli, Svamini Shuddhananda Ghiri e Hamdan Al Zeqri.

Ha vinto Miracol «per il coraggio nelle scelte di regia e per l’originalità nell’affrontare il tema della spiritualità in un mondo sempre più secolarizzato», si è letto nella motivazione.

Per i lungometraggi la giuria ha assegnato una menzione speciale a Abu Omar di Roy Krispel per l’universalità dello spunto narrativo e il rigore dello stile. E poi la menzione speciale anche per il cortometraggio The Letter Room di Elvira Lind.

La Giuria di qualità per la sezione dei lungometraggi, presieduta dal regista Giorgio Diritti e composta dal regista Andrea Pallaoro e dalla scrittrice Lisa Ginzburg, ha assegnato il Premio per il miglior film a Al cento per cento di Eric Gravel:

«perché nel racconto di una vita convulsa, sempre in apnea, di una madre single strattonata tra la periferia e la città in una ricerca di stabilità professionale e psicologica sempre sul punto di crollare, è un film che parla del nostro tempo, del suo affanno e della sua profonda incertezza e instabilità. La tenuta del ritmo forsennato rende impeccabile una regia supportata da una straordinaria interpretazione femminile, capace di rendere una vicenda intima e drammatica un apologo universale, che ci emoziona e ci allarma per innumerevoli altre storie possibili».

Il Premio per il miglior cortometraggio è andato a The Right Words di Adrian Moyse Dullin. Così ha deciso la Giuria di qualità per la sezione dei cortometraggi, presieduta dall'attrice Maria Roveran e composta dal regista Paolo Strippoli e dalla giornalista Emanuela Genovese:

«per il ritratto vibrante di uno spaccato di quotidianità adolescenziale dal sapore universale, che attraverso una narrazione autentica e diretta racconta le fragilità delle giovani relazioni e il loro perpetuo scontro con le aspettative del mondo circostante. I social network sono un filtro di contemporaneità che l’autore pone tra i personaggi e gli spettatori senza facili giudizi, lasciando agli ultimi il compito di interpretare la complessità del mondo in cui si muove il giovane protagonista».

Menzione speciale per Shero di Claudio Casale perché «ha la capacità di esprimere quanto la bellezza non sia parametro di misurazione di una vita riuscita. Attraverso il linguaggio del documentario, Shero racconta la vita di una donna sopravvissuta a un'aggressione con acido senza retorica e pietismo, esaltando invece il coraggio e la vitalità della sua protagonista».

Infine, la Giuria Nuovi Sguardi, composta da studenti di cinema dell’Università Salesiana di Roma, ha assegnato il premio «a quell’opera che si è imposta per freschezza di sguardo, audacia narrativa e originalità di messa in scena»: Il Capitano Volkonogov è scappatodi Natasha Merkulova e Aleksey Chupov.

La cerimonia si è conclusa con la proiezione di Miracol, vincitore del Premio per il miglior film della Giuria Interreligiosa.

I direttori artistici hanno dato appuntamento alla prossima edizione che si terrà dal 14 al 19 novembre 2022.

L’augurio è che il festival non veda mai fine. Soprattutto, che i film che sa intercettare e proporre continuino ad interrogare l’Uomo sull’esistente. Perché non smetta mai di cercare e contemplare quell’Invisibile che è sempre un po’ Fuoricampo.

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