Giovanni Paolo II è stato un fermo oppositore dell'ideologia gender, e lo ha dimostrato in alcune catechesi che lui stesso preparò in occasione del Sinodo dei Vescovi del 1980, allora dedicato al tema della famiglia. Il cardinale Karol Wojtyla, spiegò con argomenti teologicamente validi, l’origine della differenza sessuale tra uomo e donna e come essa si legava alla Trinità.
Gilfredo Marengo parla di questo inedito Giovanni Paolo II, nel suo libro “Chiesa Sesso Amore” (edizioni San Paolo).
Le catechesi sull’amore umano
Nel contesto della preparazione dei lavori sinodali, Giovanni Paolo II iniziò a proporre il singolare corpus delle Catechesi sull’amore umano, iniziate il 5 settembre 1979.
In questi testi, osserva Marengo, il papa espose – novità assoluta nel magistero ecclesiale – un’ampia disamina del valore antropologicamente originario della differenza sessuale. E coglie in questa dimensione dell’esistenza umana, il terreno nel quale affonda le sue radici l’universale vocazione all’amore.
L’amore umano e la Salvezza di Dio
Le Catechesi sono state una provocazione a considerare il corpo e la sessualità come temi centrali per una comprensione teologicamente adeguata dell’uomo, dell’amore, del matrimonio e della famiglia.
In primo piano vi è la preoccupazione di collocare l’esperienza dell’amore umano nell’economia salvifica (piano di Dio).
Le catechesi colmano un “vuoto teologico”
Con l’intento di valorizzare la novità del magistero del Vaticano II che – per la prima volta – aveva usato l’amore come chiave di lettura del matrimonio, l'autore del libro "Chiesa, Sesso, Amore" sostiene che le catechesi di Giovanni Paolo II permettono il superamento di una secolare difficoltà. Cioè l’incapacità della teologia di ospitare la relazione sponsale uomo-donna all’interno della classica trattazione tripartita di: amore di sé, amore di Dio, amore al prossimo.
Il fine viene raggiunto mettendo in campo l’elaborazione di una «antropologia adeguata», radicata su un’incisiva messa a fuoco della differenza sessuale come dimensione originaria dell’umano, appartenente in senso pieno all’essere dell’uomo creato a immagine di Dio (Gen 1, 27; 5, 1-2).
Il “limite” dei Padri sull’Imago Dei
Cosa che non era avvenuta con la tradizione teologica che, soprattutto a partire dai Padri Alessandrini e da Agostino, aveva collocato l’imago Dei nella mens dell’uomo, intesa come la sede dell’intelletto e della volontà (ovvero nella sua sola dimensione spirituale). Non favorendo, così, un’adeguata valorizzazione antropologica del corpo nella sua ineliminabile connotazione sessuata.
Il corpo esprime la persona
Le Catechesi di Giovanni Paolo II guadagnano il valore originario della differenza sessuale, muovendo dalla necessità di dare tutto lo spazio necessario alla realtà del corpo come luogo di manifestazione e rivelazione all’uomo della propria identità. La qualità maschile o femminile di ogni esistente umano viene articolata con la tesi classica dell’uomo come Imago Dei in quanto soggetto personale.
Esse favoriscono una presa di distanza da ogni lettura dell’uomo che accentuandone la spiritualità o – al contrario – enfatizzando la stretta connessione che – sul piano bioistintuale – la sessualità umana sembra mostrare con quella degli animali, riduce il portato antropologico della differenza sessuale. E ne afferma l’irrilevanza o la minimizza a una dimensione puramente funzionale. Il corpo, al contrario, esprime la persona e la esprime nel suo essere maschio o femmina.
La “comunione” di maschio e femmina
Partendo da qui, Giovanni Paolo II ha introdotto un fattore di novità sulla questione gender: nella duplicità di maschio e femmina si manifesta la costitutiva dimensione comunionale dell’esistenza umana. La tesi è affacciata attraverso un significativo richiamo del magistero conciliare. E termina all’affermazione che in forza della communio personarum formata dall’uomo e dalla donna, si può dire che «l’uomo è divenuto “immagine e somiglianza” di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma anche attraverso la comunione delle persone, che l’uomo e la donna formano sin dall’inizio»
Per questi motivi la comunione tra uomo e donna, espressione primordiale di ogni possibile comunione tra uomini, realizza l’imago Trinitatis.
«Ma Dio non creò l’uomo lasciandolo solo; fin da principio “uomo e donna li creò” (Gen 1, 17) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone» (GS 12).
Matrimonio e identità sessuale
L’archetipo trinitario sta all’esistenza di ogni uomo e ogni donna come forma liberamente data. Essa interpella la libertà di ciascuno e ne indirizza i passi verso un’adeguata scoperta della verità di sé e del responsabile cammino verso la propria piena autorealizzazione.
Quindi, secondo Giovanni Paolo II, solo a partire dalla scoperta della propria mascolinità e femminilità, attestata dal corpo, l’uomo e la donna sono in grado di riconoscere la loro vocazione all’amore: altro che gender e azzeramento del sesso biologico.
In questo orizzonte si colloca l’interrogativo sullo specifico del sacramento del matrimonio cristiano. Che è presentato come la condizione di possibilità – offerta a tutti – di vivere in pienezza la propria identità sessuale e la propria vocazione all’amore.