C’è una blogger torinese (forse la decana della blogosfera cattolica italiana) che ha più volte detto e scritto di stare scrupolosamente tenendo – già dalla Candelora del 2020! – un “diario della pandemia”: a quanti le chiedevano donde avesse tratto un’idea tanto bizzarra rispondeva di non essere affatto l’unica, e che anzi in Nordamerica il genere si diffondeva significativamente.
È un blogger da meno tempo di lei, ma da decenni prima che l’altra nascesse Luigi Accattoli è in prima fila (talvolta anche in trincea) tra quanti osservano, documentano, commentano fatti di Chiesa – e dintorni. “Fatti di Vangelo”, ama piuttosto dire Accattoli (forse il decano del vaticanismo italiano), che dal 1995 ha pubblicato ben tre libri intitolati “Cerco fatti di Vangelo”, nei quali ha compendiato numerose storie di gente più o meno comune e sempre decisamente straordinaria.
Raccogliere “fatti di Vangelo in pandemia”…
Con l’ausilio del blog (e dei profili social), l’esperto vaticanista si è dotato di strumenti socialmente assai pervasivi per gettare le reti tra le storie delle persone, e questo lo ha portato a leggere e conoscere centinaia e migliaia di storie umane. «Lo storico – è l’arcinota affermazione di Marc Bloch – è come l’orco delle fiabe: va dove sente odore di uomo». E se, in teoria, il giornalista è lo storico del presente, Accattoli è uno che a più di un titolo merita questo titolo.
Già nel 2000 pubblicava, sotto il titolo di “Nuovi martiri”, «393 storie cristiane nell’Italia di oggi», e ancora nel 2019, ossia negli ultimi mesi della nostra epoca ignari della pandemia, sfruttava il genere delle centurie con le “100+10 parabole di papa Francesco” (C’era un vecchio gesuita “furbaccione”). Che cosa avrà fatto, nell’anno della pandemia, e come l’avrà impiegato? La risposta è svelata proprio in questi giorni in cui l’editrice trentino ViTrenD pubblica “Fatti di Vangelo in pandemia”, titolo nel quale si prolunga il sodalizio intellettuale col collega Ciro Fusco (scrisse con lui le “100+10 parabole”…). Nell’ultima pagina del libro, chiudendo la sua postfazione, il giornalista partenopeo scriveva:
Se l’attitudine di papa Francesco rimanda facilmente alla sua formazione ignaziana (non per nulla è un “gesuita furbaccione”…), incline a «cercare e trovare Dio in tutte le cose», soprattutto nella vita delle persone, le parole di Mattarella ricordano quelle dell’allora generale (e futuro Presidente anch’egli) Dwight D. Eisenhower, il quale irrompendo in Auschwitz ordinò che si producesse
…ma chi vuole ancora sentir parlare di Covid?
Il pensiero vola a quanti, dopo quasi due anni di pandemia e più di 130mila vittime nella sola Italia, senza neppure aspettare che ne siamo veramente usciti, ancora e già vaneggiano di “semplice influenza” e insultano insieme la memoria dei morti, quella dei sopravvissuti e quella di quanti si sono prodigati nella cura di questi e quelli (non di rado finendo a loro volta in uno dei due gruppi). Vola ai complottisti e ai negazionisti, il pensiero, ma non può fermarsi lì, perché c’è una domanda che in tutta onestà chiunque – dall’editore in giù – deve porsi e si è posto: la gente avrà ancora voglia, adesso, di sentir parlare di Covid?
Diciotto mesi fa sì, eravamo carichi e volenterosi: “andrà tutto bene”, “ne usciremo migliori”, “siete i nostri eroi” e molti altri slogan ci eccitavano nel tenere duro e nell’andare avanti. Ora si ha da più parti l’impressione che il sentiment collettivo sia piuttosto espresso dall’anelito a “tornare alla normalità”, ossia a “come prima”. Sembrano dimenticati i buoni propositi e dimenticata – quel che è peggio – la voce profetica di chi, come il Papa, ha ricordato:
Qualcuno ha trovato parlante, in tal senso, il successo di critica e di pubblico di Musica leggerissima dal Festival di Sanremo 2021 in qua: sembrerebbe che in molti non chiedano altro se non
Che posto c’è, allora, per un libro che raccoglie ben settantadue storie di Vangelo raccolte nell’anno della pandemia?
L’osservazione di Fusco è solida e importante, ma non risponde alla domanda: va bene fornire materiale agli storici di domani, ma perché oggi un editore dovrebbe stampare un libro che la saturazione del mercato rischia di mandare al macero in blocco? Forse l’editore avrà pensato che il suo mestiere non guarda solo “al mercato”, ma al suo sostrato umano, che è il pubblico, e lo guarda prima e più col desiderio di informarlo e di formarlo che con quello (pure lecito e giusto) di trarne degli utili d’impresa. A fronte di questa contropartita ideale il rischio editoriale gli sarà dunque parso accettabile:
Il (modesto) senso teologico di chi scrive pizzica sempre, quando incappa in così strette equazioni tra umano e divino, tra natura e grazia, ma scorrendo le pagine (di questo come di altri libri di Accattoli, del resto) si capisce che l’intento è meno quello di appiattire la profezia evangelica che quello di raccogliere tra i “fatti di Vangelo” anche quelli di “cristianesimo anonimo”. Nonostante tutte le riserve che si possono avere sull’approccio rahneriano, e ferme restando tutte le attenzioni che per primo il Gesuita tedesco ebbe in merito, il senso dell’operazione di Accattoli e Fusco trova limpida didascalia nell’intervista di mons. Antonio Napolioni a Vatican News (riportata nella storia nº 8):
Viene alla mente un’evidenza: il primo manifesto di “cristianesimo anonimo” (ossia di “fatti di Vangelo” non-cristiani) è esposto da Gesù nella parabola detta “del buon Samaritano”. Di quella cura, appunto, un Vescovo cattolico si è stupito tanto – e con uno sguardo tanto contemplativo – da giungere a vedere l’intero teatro pandemico come «Cristo che si prende cura di Cristo». Vividissima concrezione della dottrina origeniana del “Christus totus” e di quella agostiniana del “corpus permixtum”! E chi oserà dire che ciò non sia sufficientemente cristiano?
La profezia e la conversione ai tempi del Covid
Un’altra questione, connessa a questa, si presenta nel succedersi delle pagine e delle storie, ed è quella di una profezia ecclesiale che chiami a conversione:
La domanda di Accattoli non giunge solitaria, e difatti il giornalista richiama alcune eccellenti risposte, salvo poi discostarsene alquanto:
I redattori di queste settantadue storie non hanno mai temuto di annoverarsi – per formazione e per indole spirituale – tra i “cattolici liberali”, ma non per questo possono contarsi fra quanti confondono carismi e ruoli di chierici e laici: lo protestano con evidenza le storie stesse, già fin dalla seconda, quella dell’infermiera Elisa Da Re – che sognava di «lavorare in Africa» e che non ha potuto esitare quando ha visto che con la pandemia «l’Africa arrivava qui».
E chi avrebbe scommesso di trovare questi pensieri nella mente di una giovane specializzanda in chirurgia generale? Sarebbero degni di una brava novizia, di un devoto sacerdote, eppure non esprimono né la vocazione religiosa né quella presbiterale, bensì la nuda dignità di quanti nel battesimo sono morti con Cristo e di Cristo si sono rivestiti. Ovunque siano e qualunque cosa facciano. Non è profezia questa? Non chiama tutti a conversione?
Ad Accattoli abbiamo poi potuto rivolgere un paio di domande che la lettura del libro ci aveva suscitato. La prima sul numero delle settantadue storie, che ci sembrava inequivocabilmente scelto in riferimento ai discepoli mandati in missione due a due di cui narra Lc 10:
Tutta una vita a meditare sulla morte
E c’era poi, sempre nella Prefazione, un’espressione assai poetica e vigorosa che ci ha molto colpiti. In un passaggio che suona così:
Quel “portarci all’altezza della nostra morte” – dicevamo – ci era sembrato un motto dal conio quanto mai intenso, e ne abbiamo chiesto conto all’autore. Il quale così ha risposto:
Se l’espressione ci aveva intrigati, la risposta alla domanda ci ha riportati alle pagine di un altro libro di Accattoli, scritto nel 1987 – anno in cui il Giornalista vide morire una cognata che era per lui una sorellina e nascere un figlio – e pubblicato l’anno dopo:
Era un libretto diversissimo da questo scritto a quattro mani con Fusco, e anzi a centoquarantotto mani almeno, ma quel tratto intensamente meditativo – quel “portarsi all’altezza della nostra morte” – rimanda a quel medesimo uomo che fin da giovane ha pensato sempre alla morte. Quell’uomo aveva parlato di “crudeltà di Dio” per la morte della “sola” cognata, specificando che lo choc gli “toglieva il respiro”… e quando una pandemia gli stava letteralmente facendo collassare i polmoni – come simultaneamente stava facendo con milioni di altri uomini – la sua riflessione si è volta a “fatti di Vangelo”, come in un’ostinata rincorsa delle tracce del Risorto sul pelo dell’acqua.
Il fatto è che la speranza – quella di cui parlava il libro del 1988, la “Grande Speranza” a cui Benedetto XVI avrebbe dedicato un’enciclica – cresce nel tempo dell’uomo alimentata dallo Spirito, e si fa tanto più tenace quanto meno può apparire netta: per questo ad autori che vivono tanto a lungo e tanto intensamente si addirebbe l’esercizio intellettuale e spirituale delle Retractationes (in senso agostiniano) degli opera omnia. Se nessuno può compiere in loro vece questa “seconda navigazione”, i lettori dei settantadue “fatti di Vangelo in pandemia” potranno però forse ritrovare – mitigata da una canizie ben portata – l’inquietudine di cui all’epoca si leggeva:
Ostinata speranza • smisurata preghiera
Questa pagina, scritta nel 1987, sembrerebbe sintetizzare la rassegna stampa di molte testate all’indomani del 27 marzo 2020, cioè il giorno dopo la smisurata preghiera di papa Francesco per la fine della pandemia: preghiera a Dio per impetrare il termine del flagello (presente il Crocifisso di San Marcello, già testimone di altre pestilenze); invito alla conversione per la Chiesa smarrita nella tempesta; annuncio profetico per un’umanità che s’illude di vivere sana in un mondo malato.
Tutto questo scuote il mondo, forse perfino la Chiesa (benché non sempre sia dato di vederne i frutti)… e Dio? Di ciò sembrano dare testimonianza le settantadue storie discepolari: