Testimone della verità, martire della fede, patriota, leggendario cappellano del movimento di Solidarność. Tutti i termini si adattano perfettamente all'immagine del beato – assassinato il 19 ottobre 1984 dalla polizia segreta – P. Jerzy Popiełuszko, ma tanti lo ricordano semplicemente come Jerzy, un sacerdote dall'aspetto giovanile, che fumava Chesterfields e aveva un cane nero di nome Tajniak (funzionario della polizia segreta).
Alfons Popiełuszko era nato il 14 settembre 1947 a Okopy, un villaggio della regione polacca di Podlasie, terzo figlio di Marianna e Władysław Popiełuszko. Avevea ereditato il nome di Battesimo dallo zio, fratello della madre, un soldato dell'Esercito Nazionale assassinato dall'esercito sovietico a 21 anni.
La solida fede della famiglia Popiełuszko è dimostrata dalla morte della figlia minore della coppia, Jadzia, che si ammalò gravemente e morì a meno di due anni. I genitori accettarono l'accaduto in base al principio per il quale “bisogna essere perseveranti e saldi. Dove Dio porta, lì trarrà qualcosa”, disse Marianna Popiełuszko.
L'atteggiamento di fiducia e la trasmissione di valori fondamentali in modo semplice ma molto significativo, soprattutto la fede e il rispetto per gli altri, hanno influito profondamente sulla vita di Jerzy.
Pur sforzandosi molto ed essendo uno studente coscienzioso, non ottenne risultati accademici straordinari, e nessuno all'epoca pensava che il chierichetto della chiesa dei Santi Pietro e Paolo del villaggio vicino, Suchowola, sarebbe diventato noto in tutta la Polonia dopo una dozzina di anni.
Dopo essersi diplomato nel 1965, decise di entrare nel Seminario Teologico Superiore Metropolitano di Varsavia, e fu qui che cambiò il suo nome in Jerzy Aleksander.
Non si toglieva il rosario
La tappa che lasciò un segno permanente nella vita di Jerzy a livello di sviluppo di carattere ma anche di salute, che risultò seriamente danneggiata, fu il servizio militare obbligatorio a Bartoszyce in un'unità molto rigida, soprattutto con i seminaristi, che vi sperimentavano molte umiliazioni e difficoltà collegate alla loro fede.
Non potevano assistere alla Messa, e a volte venivano privati per mesi dell'accesso ai sacramenti. Erano interrotti nelle loro preghiere (ad esempio con allarmi), e tutti i simboli religiosi erano proibiti. Nelle lettere al suo padre spirituale, p. Czesław Miętka, Jerzy scrisse di “un capo che, volendo adulare un ufficiale, ordina di togliersi il rosario, perché non è una fede nuziale da portare nell'esercito”. Nonostante la sua piccola statura, Jerzy gli rispose in modo brillante: “Dipende per chi”.
Sono il sacerdote Popieluszko
Anche se Jurek conosceva le conseguenze del suo comportamento, agiva apertamente con indifferenza nei confronti del sistema. In un'altra lettera a p. Miętka scrisse: “In realtà, non mi hanno ancora dato alcun giorno libero. Una volta, senza che il comandante del plotone ne fosse a conoscenza, ho portato il denaro al PKO (Cassa di Risparmio Polacca), e per questo mi hanno rimproverato, ma ne è valsa la pena, perché ho usato quel tempo per andare in chiesa. Quello che ha dato più fastidio al tenente è stato il fatto che dopo due ore e mezza di conversazione con me ho iniziato a sbadigliare stupidamente. Gli ho dimostrato che non mi importava molto di quello che diceva”.
È stato implacabile e coerente, ed è probabilmente questo che gli ha fatto attirare tanta gente alla Chiesa, a volte senza evangelizzazione né proclamazione del kerigma, ma solo con la sua presenza, come nel caso di Danuta Szaflarska.
Si conobbero in corridoio durante una delle udienze giudiziarie dei lavoratori arrestati di Ursus e Huta Warszawa. Si presentò a lei con queste parole: “Sono il sacerdote Popiełuszko”, e le offrì un caffè. Col tempo, l'attrice iniziò ad andare in chiesa, sottolineando che non era credente e che era lì per motivi politici. Lui le chiese se voleva confessarsi, lei esitò sul fatto di farlo dopo 40 anni, ma p. Jerzy la incoraggiò dicendo: “Si suppone che 'all'ingrosso' sia più facile”. La donna si convertì, e rimasero amici fino alla fine della vita.
Capacità attrattiva
Il sacerdote si è guadagnato la simpatia di persone di ogni ambito di vita: medici, lavoratori, artisti e molti altri, e continua a farlo ancora oggi. Perché? Amava la gente e la vita. Apprezzava i momenti semplici e i piccoli piaceri, e si lamentava pochissimo, anche se ne aveva ragione.
La sua salute era cagionevole, spesso era ammalato, e quindi non poteva assumere le sue funzioni come vicario, ma lo è sempre stato. Per alcuni era un sacerdote, per altri Jurek o Jerzy.
“Chi lo ascoltava rimaneva rapito. Era un uomo che penetrava con lo sguardo”, dice Michał Staniszewski, di Huta Warszawa, che ha conosciuto p. Jerzy durante la Santa Messa a Huta. In seguito, assisteva regolarmente alle Messe mensili per la patria.
“I suoi discorsi hanno avuto talmente successo che si è iniziato a pensare che non fosse necessario tirare mattoni agli agenti della ZOMO (Guardie Motorizzate della Milizia Cittadina). Bisognava solo essere se stessi e resistere. Abbiamo parlato spesso con i nostri colleghi del fatto che non era molto alto ma era incredibilmente forte. Non l'ho mai visto disperato nonostante i colpi che ha subìto”, ricorda Staniszewski.
La vita di padre Jerzy è stata una liturgia. Ha tratto la forza dalla preghiera, che ha sottolineato molte volte. Nelle sue ultime settimane di vita, ha agito come se fosse preparato a ciò che stava per succedergli. Ha pagato i conti, ha parlato del funerale. Come ha detto lui stesso, 'era disposto a tutto', ma solo per amore di Cristo. In una delle sue ultime conversazioni con la sorella Teresa Boguszewska ha affermato: 'Se muoio non sarà per nulla, non sarà per vandalismo. Se muoio, sarà solo per fede. E il mondo lo saprà”.
E così è stato. Il mondo lo ha saputo, come dimostrano i milioni di pellegrini sulla sua tomba. La gente ricorda ancora che amava ricevere fiori.
Nell'Angelus del 13 giugno 2010, papa Benedetto XVI ha affermato:
“Un’altra figura vorrei ricordare: Don Jerzy Popiełuszko, sacerdote e martire, che è stato proclamato Beato proprio domenica scorsa, a Varsavia. Ha esercitato il suo generoso e coraggioso ministero accanto a quanti si impegnavano per la libertà, per la difesa della vita e la sua dignità. Tale sua opera al servizio del bene e della verità era un segno di contraddizione per il regime che governava allora in Polonia. L’amore del Cuore di Cristo lo ha portato a dare la vita, e la sua testimonianza è stata seme di una nuova primavera nella Chiesa e nella società”.