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La risposta di Gesù alla tentazione del potere

James Tissot (1836-1902), Gesù s'intrattiene coi suoi discepoli. Brooklyn Museum.

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Jacques de Longeaux - pubblicato il 19/10/21
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Nel Vangelo di questa 29ª domenica del tempo ordinario, i Dodici si mostrano agitati dalla tentazione del potere e dal veleno della gelosia (Mc 10,35-45). La risposta di Gesù è vigorosa, commenta padre de Longeaux, parroco di St.-Pierre du Gros-Caillous a Parigi: «Gesù non fa loro la morale, li colloca davanti al mistero della salvezza che avviene per la Croce».

Tra le passioni che agitano il cuore umano, il desiderio è una delle più potenti. Una persona possiede una bella casa confortevole, ben collocata, sufficientemente grande perché tutta la sua famiglia vi abiti comodamente… basta che un vicino ne possieda una più bella, più confortevole, più grande, meglio situata, perché s’insinui il veleno dell’invidia. Ecco che la persona in questione si sente umiliata e finisce per trovare la propria casa bruttina, scomoda, mal collocata e troppo piccola. 

Il paragone ha trasformato il suo sguardo e fatto nascere l’insoddisfazione. Qualcuno occupa un buon posto in una impresa, riesce nel suo lavoro e ne è contento: basta che un collega riceva una promozione perché avverta i morsi della gelosia. L’amarezza lo vince. Si sente trattato ingiustamente, pensa che non si riconosca a dovere il suo valore, non vede che cosa l’altro avesse più di lui. 

Nel Vangelo di questa 28ª domenica del tempo ordinario, i Dodici sono agitati da analoghi sentimenti. La loro unità è minacciata dallo spirito di rivalità. I figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, brigano per occupare i due primi posti nel Regno di Dio annunciato da Gesù – ma se lo immaginano fin troppo terreno. Pensano a una ascesa trionfale a Gerusalemme, una vittoria schiacciante contro i Romani seguita dalla restaurazione del regno di Israele, del quale Gesù sarebbe diventato re. Questo nuovo regno avrebbe brillato di una gloria uguale, se non più grande, di quella degli antichi Davide e Salomone. 

I figli del tuono sognano di diventare i grandi di questo regno che viene: vogliono esercitare il potere, si comportano come cortigiani ambiziosi. Gli altri dieci si indignano contro i due fratelli: essi pure ambiscono ai primi posti e non vogliono essere superati. La gelosia comincia a fare la sua opera di divisione. Il diavolo – il divisore – si frega le mani. 

La situazione è grave, e Gesù reagisce con vigore. Notiamo la maniera in cui gestisce la crisi. Non fa la morale ai discepoli: li mette davanti al proprio mistero, quello della salvezza che passa per la Croce. Le parole che egli pronuncia sono una rivelazione. La coppa che egli sta per bere, il battesimo nel quale sarà immerso, significano le sofferenze della sua Passione e della sua morte di Croce – morte ignominiosa agli occhi degli uomini, gloriosa a quelli di Dio. Gesù non è venuto per essere un re alla maniera del mondo, circondato da servitori e regnante su dei sudditi. Egli «non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita in riscatto per le moltitudini» (Mc 10,45). 

I discepoli vengono chiamati a conformare la loro esistenza a quella del loro Signore. Essere cristiani significa seguire Gesù, significa prenderlo per modello (è significativo che il più celebre e più meditato libello di spiritualità si chiami L’imitazione di Cristo). Gesù è, in persona, la Legge che ci sforziamo di vivere: ne siamo resi capaci grazie al dono dello Spirito che rischiara la nostra coscienza quanto al bene che dobbiamo fare e che fortifica la nostra volontà perché lo compiamo. La legge di Cristo è compendiata nel duplice e unico comandamento dell’amore a Dio e al prossimo. Amare come Cristo ha amato. Il comandamento dell’amore riassume i precetti e i divieti dei dieci comandamenti: li supera compiendoli perfettamente. Colui che ama come Cristo ama ha perfettamente compiuto la volontà di Dio. 

La questione del potere si pone in ogni società umana, dalle più vaste (come uno Stato) alle più piccole (come le famiglie). Essa si pone anche nella Chiesa. Gesù oppone la maniera di esercitare il potere tra le nazioni a quel che deve essere la regola tra i suoi discepoli. I capi delle nazioni “signoreggiano”, esercitano un dominio, sottolineano il loro potere schiacciando quelli che sono loro sottoposti, traggono una gloria personale dal loro rango. Al contrario, nella Chiesa l’esercizio del potere è un servizio per il bene della comunità. Agli occhi di Dio, il più grande non è chi si erge al di sopra degli altri e reclama degli onori, ma chi si fa servo di tutti e non vuole nulla per sé – a immagine di Gesù, che dà la sua vita. 

Ciò non vuol dire che un discepolo di Gesù dovrebbe rifiutare posti di direzione nella società o nella Chiesa: sarebbe falsa umiltà e una fuga davanti alle responsabilità. Egli deve però guardarsi dalla ricerca e dall’amore del potere fine a sé stesso. Chi è chiamato a un posto di responsabilità veglierà a non credersi superiore agli altri, anche se è investito di autorità e dispone dei poteri necessari per esercitare il proprio servizio. Il sano esercizio del potere non è solitario. Esso suppone l’ascolto, il dibattito. Esso accetta la rimessa in causa e le critiche, rispetta il diritto. L’esercizio collegiale del potere è una cosa buona anche se, in fin dei conti (e soprattutto in caso di problemi), è una sola persona che si assume la responsabilità di quel viene deciso e fatto. Il potere è anche un rischio assunto. 

Teniamo davanti agli occhi Cristo, nostro Signore. Perché non tenere con sé, ben in vista, o magari perfino addosso, un’immagine di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli, o di Gesù sulla Croce, servitore sofferente che dona la vita per amore per noi? Ci aiuterebbe a lottare contro i pensieri di cupidigia e di gelosia, nonché a scartare la tentazione di esercitare un potere – quale che sia – sugli altri per il solo gusto del potere in sé. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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