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Un pianista sull’oceano dei nostri dolori

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Paola Belletti - pubblicato il 18/10/21
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Alessandro D'Avenia tratta forse nell'unico modo utile ad evitare cedimenti retorici il tema del "ritorno alla normalità": raccontando di un giovane musicista di origine ucraina che ha speso la sua estate per realizzare il suo coraggioso "Piano B": suonare per i carcerati, i malati, i passanti, diffondendo bellezza.

Alexander Romanovsky,

Tra le tappe più significative, l'Istituto Tumori di Milano e l'atrio del carcere di Brescia.

Davanti al carcere bresciano siamo passati tante volte, mio marito ed io, insieme con le nostre figlie; una in particolare è rimasta così impressionata che non appena si nomina Brescia ci chiede come possano vivere chiuse lì dentro tante persone, alcune per tutta la vita.

Di cosa si è trattato, dunque, di una scelta di ripiego? di fare quel poco che in tempi di restrizioni ci era concesso, in questo immiserimento in cui sono precipitati anche gli artisti, ritenuti lavoratori non essenziali? Di accontentarsi di surrogati, come la cicoria al posto del caffè in tempi di razionamento bellico?

No, osserva con atteso acume Alessandro D'Avenia: la normalità vera è questa, offrire la bellezza là dove più è necessaria. E inventarsi modi nuovi di spargerla in giro. Di sicuro i tempi sospesi dei lockdown potevano servire a questo e anzi per molti sono stati gestazioni che hanno partorito nuove creature (opere, idee, progetti, rinunce). Altro che campionati per divanari professionisti.

Così ha fatto questo artista; e ora che si spera ci stiamo definitivamente scrollando di dosso la terza ondata di retorica vorremmo tornare a guardarci per quel che siamo fino in fondo: bipedi misteri che si muovono nel mondo appesi agli sguardi di altri, fatti della stessa pasta, con lo stesso enorme problema di scoprire il senso per il quale siamo qua e siamo fatti proprio così.

Dopo la prima, che ci spingeva a prometterci gli uni gli altri che tutto sarebbe andato bene (definisci "bene"); la seconda che, nata come ingenua speranza si è invece cronicizzata in disillusione, perché non è vero che ne siamo #uscitimigliori, ci ha raggiunti infine anche la terza con il suo ripetere cadenzato che stiamo lentamente per tornare alla normalità (che noia, signori...).

Ma che cosa è davvero normale, qual è la norma che ci regola e orienta, che spiega il nostro movimento, il nostro arrivare, fermarci, andarcene?

Alexander non aveva più concerti e tournée in giro per l'Europa e il mondo, ma aveva intatta tutta la sua capacità, la sua memoria che arriva fin nelle dita e probabilmente il desiderio di suonare, in ogni caso.

E così, per dare seguito a quello che lui ha chiamato Piano B,

Più che accontentarsi, Alexander ha cercato di "contentare", di portare contento attraverso la bellezza della musica.

E con la riflessione che segue, D'Avenia contribuisce a liberare di un po' di detriti e incomprensione una delle citazioni di Dostoevskij più abusate (insieme a certe povere foglie verdi in estate che il povero Chesterton chiamò all'appello, credo, per più degne battaglie): "la bellezza salverà il mondo" (definisci "bellezza").

L'avventura del giovane pianista su questo domestico oceano increspato di attese, dolore e gioia è la prova di quello per cui siamo fatti, cioè della nostra vera normalità. Siamo sapiens più e prima che homo oeconomicus. Amiamo scoprire il sapore delle cose, rintracciarne il senso e condividerlo con i nostri simili.

Non si sarà sentito gratificato forse come non lo era da un po', il giovane talentuoso, a poter suonare per chi non aveva altro con cui ripagarlo che la propria meraviglia e gratitudine?

Potrebbe accordarsi allo stile di Alexander, così come ce lo ha raccontato il suo omonimo italiano, il motto impaziente a causa della carità di San Camillo de Lellis: sapete come incoraggiava i suoi confratelli all'opera per soccorrere feriti, malati e moribondi?

Se la bellezza salverà il mondo sarà nello stile di Cristo e dei suoi santi; gente che si è sporcata le mani, le ha messe in pasta, se le è fatte tagliare in casi estremi, o, come nel caso di questo musicista, le fa andare veloci sulla tastiera; gente, alla fine, che in un modo o nell'altro si è lasciata prendere e "divorare" da quante più bocche affamate abbia potuto. Perché è nello stile di Cristo, rendersi piccolo ed edibile.

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