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Credere significa accettare che la verità è sempre una cosa scomoda

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Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 14/10/21
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Ma che soltanto confrontandoci con essa e con chi ce la dice possiamo diventare noi stessi.

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca. (Lc 11,47-54)

Sembra che il Vangelo di oggi voglia dirci che prendiamo in considerazione le persone che ci dicono la verità solo quando non possono più nuocere alla nostra pace apparente, quando non possono più provocare la nostra coscienza, quando non possono più essere decisive per noi.

Così li onoriamo con una nobile memoria e li rendiamo però inefficaci per il presente della nostra vita.

E soprattutto esistono tanti modi per far fuori le persone che hanno il coraggio di prendere davvero sul serio la nostra vita e ci dicono la verità. Di questo sangue, dice Gesù, dobbiamo renderne conto… anche se il sangue è solo morale, simbolico, latente.

Credere significa accettare che la verità è sempre una cosa scomoda, ma che soltanto confrontandoci con essa e con chi ce la dice possiamo diventare noi stessi.

Farla fuori, e con essa chi la racconta, non ci porterà alla pace e alla felicità ma solo ad un compromesso che è già una sconfitta a tavolino. La conversione a cui siamo chiamati nel vangelo di oggi ha più che mai un valore molto più grande della nostra sfera individuale. È conversione sociale, comunitaria.

È un modo di cambiare la narrazione che delle volte noi facciamo con l’informazione, con i social, con la propaganda. Amare chi dice la verità e accettare che delle volte le persone che dicono cose vere sono urticanti.

Bisogna invece sempre temere quando viene detto ad alta voce solo ciò che si vuole sentir dire. La coscienza ci dice come stanno le cose anche quando ci piacerebbe fare altro. Davanti ad essa si possono fare due cose: o uccidere la coscienza o lasciarci evangelizzare da essa.

Solo nei regimi totalitari e nei narcisisti è impossibile trovare opposizione e critica costruttiva. L’accoglienza dei profeti ci rivela a che punto siamo con noi stessi e come società.

Lc 11, 47-54

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