In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!». (Lc 11,42-46)
A che cosa serve stare alle regole e poi non accorgersi del volto di chi ci sta accanto? A che cosa serve vivere una giustizia che taglia fuori l’amore concreto? Basta solo essere onesti per essere buoni?
Gesù pare dire che non basta l’onestà, bisogna imparare ad allargare la visuale fino al punto di considerare anche la vita concreta di chi ci sta intorno. Perché in fondo l’amore di Dio è sempre amore per il prossimo. Gesù lo aveva detto:
Ma noi forse siamo troppo intenti a giocare a fare i primi della classe, a metterci in mostra, a occupare posti pensando che questo risolva il bisogno di senso che ci portiamo nel cuore.
Ma chi vive così, vive con la morte dentro e nemmeno se ne accorge. È solo imbiancato, ma è mortifero.
E in tutto ciò forse la cosa peggiore è avere sempre chiaro quello che gli altri dovrebbero fare, quello che gli altri dovrebbero correggere di se stessi, avere sempre e lucidamente in mente e nei giudizi in che modo dovrebbe svolgersi la vita degli altri, senza mai farsi sfiorare dall’idea che forse il cambiamento che tanto desideriamo comincia da me e non dalla conversione di chi mi sta accanto.
Così carichiamo e opprimiamo la vita degli altri, facendoli sentire in colpa, mentre noi giochiamo a toglierci le colpe di dosso addossandole agli altri:
Gesù pronuncia queste parole per metterci in salvo dal rischio farisaico che c’è in ognuno di noi.
Lc 11, 42-46
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