Saremmo davvero preparati se sapessimo in anticipo cosa ci accadrà nella giornata che ci aspetta? Siamo campioni mondiali di progettazione maniacale e ansie patologiche. Sempre in difesa sugli imprevisti, sempre all'attacco se qualcosa va storto.
E poi viene il momento in cui la realtà si pianta in mezzo alla strada e ci chiede molto di più di quello che avevamo messo in conto. Non siamo pronti, ma ci siamo.
Sono esseziali ma clamorose le notizie che riguardano un fatto di cronaca accaduto a Roma, le riporta il sito Leggo e riguardano la tassista Manuela Giangreco che, trovatasi senza prevederlo in una situazione d'emergenza, ha reagito con prontezza, prestando soccorso a un giovane in pericolo di vita.
Roma e traffico sono due parole che avvicinate suscitano immagini apocalittiche. Negli ultimi giorni la capitale è stata teatro di scontri, mentre fino a qualche settimana fa spopolavano video di cinghiali e istrici in serena deambulazione per le vie cittadine. La strada è una giungla, si dice. Nessuno più di un tassista lo sa, e un tassista di Roma ha lauree guadagnate sul campo in antropologia, neuropischiatria, umorismo e relazioni internazionali. Alberto Sordi docet.
Manuela Giangreco svolge questo mestiere dal 2009, ne avrà viste di cose bizzarre in mezzo al traffico di Roma ma non della portata di quello che ha incrociato pochi giorni fa:
Per mestiere il tassista e la tassista sanno di dover rispondere con prontezza alle chiamate di clienti sconosciuti. 2 o 3 minuti e arrivano, di solito. Manuela non aveva messo in conto una risposta pronta nel giro di una manciata di secondi. In questi casi non c'è il tempo del ragionare, ponderare, valutare. La nostra stessa presenza diventa un sì in azione.
Qualcosa di grave era senza dubbio successo. Un giovane ragazzo di 22 anni, del Nord Europa (si è saputo dopo), era a terra con gli occhi sbarrati. Probabilmente un incidente col monopattino lo aveva sbalzato violentamente a terra. L'emergenza non è il tempo delle ricostruzioni e delle colpe, ma dell'esserci.
Il fatto si è verificato in una zona centrale di Roma, possiamo immaginare che ci fosse altra gente attorno. Eppure, a questa chiamata improvvisa, ha risposto Manuela che non ha particolari competenze mediche, ma si è inginocchiata per praticare il massaggio cardiaco alla vittima, per tutto il tempo necessario a non perderlo. E lo ha fatto con la tenacia di una madre, non con la lucidità di un soccorritore esperto:
Forse, quando ci ripenserà a mente fredda potrà definirlo persino un travaglio precipitoso. Lo ha sentito come un figlio, si è precipitata nel tentare di custodire quella vita. Lei stessa ha ripreso a respirare quando il ragazzo ha di nuovo aperto gli occhi. E chi ha partorito conosce il respiro liberatorio che torna dopo le ultime spinte. Una madre non dà la vita al figlio, lo accompagna a venire al mondo. Allo stesso modo le persone non salvano altre persone, piuttosto partecipano al mistero che è il destino di ciascuno, collaboratori - anche cocciuti se occorre - della vita.
L'emergenza genera un'immedesimazione vertiginosa tra vittima e soccorritore, perché entrambi si trovano al cospetto di un vero che brucia: siamo vulnerabilissimi. Il giovane è stato trasportato al policlinico Umberto I, in codice rosso ed è fuori pericolo. C'è da intuire che anche Manuela sia ritornata alla vita 'normale' con un codice rosso nella testa e nel petto: come si guarda il mondo, le solite cose, dopo aver toccato con mano quanto è prezioso e fragile esserci?
Se, come c'è da aspettarsi, la notizia rimbalzerà sulle testate nazionali è facile prevedere la parabola dei titoli: si giocherà sull'eroismo della donna comune o sulle polemiche relative alla circolazione dei monopattini?
Qualcosa sfugge da queste inquadrature. Eppure sono questi i tasti che funziano bene sull'emotività del lettore: lo straordinario e la polemica. È altrettanto spontaneo far scendere in campo la parola "angelo" per incorniciare la premura solerte di Manuela. Ci sta, ma non per l'aura tenera e dolce che associamo alle schiere celesti. Sono milizie d'amore e, se proprio c'è qualcosa della loro ombra in certe imprese umane, ha a che fare con la prontezza nel dire sì al bene, un precipitarsi innestato nella pura carità.
Non è nostra quella prontezza pervasa da un puro attaccamento innamorato a Dio, ma siamo figli dello stesso Padre. Come gli angeli, seppure diversamente, anche noi siamo custodi. Custodiamo un'ipotesi scritta al principio di noi, e al principio di ogni cosa che vive. Per questo talvolta ci scappano dei sì incredibili e improvvisi che non escono dal coraggio o dalla volontà o dall'attenzione, ma proprio da un istinto che pesca all'origine di noi e di tutto. Ed è il Sì stesso di Dio alla Creazione, di cui ci ha chiesto di essere parte prima che fossimo. L'eco di quell'amore ci spintona preterintenzionalmente, ed è consolante ammetterlo - per noi programmatori seriali e ansiosi a tempo indeterminato.
Così Manuela conclude il suo racconto. E la gratitudine è l'epilogo più realistico possibile. Questa spinta, a volte improvvisa e preterintenzionale, a catapultarci nel vivo del cuore ferito del mondo non è mai un'impresa in solitaria. Siamo custodi di chi ci è accanto, ma sempre a nostra volta custoditi e accompagnati.