Il prossimo 10 ottobre papa Francesco apre solennemente il Sinodo sulla sinodalità. Tutte le diocesi del mondo sono chiamate a partecipare a questo inedito e biennale processo che intende restituire la parola al Popolo di Dio. I.Media illustra le grandi sfide di un sinodo “di nuova generazione”, che s’iscrive nella grande riforma iniziata nel 2013 da papa Francesco per decentralizzare la governance della Chiesa cattolica.
1Perché il Sinodo sulla sinodalità è inedito nella sua forma?
È una terza via che papa Francesco ha aperto in materia di sinodalità. Riportati in auge dal concilio Vaticano II, i sinodi – queste assemblee riunite per riflettere su un tema particolare – si tengono ordinariamente sia su scala locale, in diocesi, sia su scala universale, con la riunione a Roma dei Vescovi delegati da tutto il mondo.
Lanciando il Sinodo sulla sinodalità, papa Francesco innova proponendo stavolta tre fasi di riflessione:
La fase locale deve durare sei mesi, mobilitare tutte le diocesi e tutte le parrocchie (fino a marzo 2022), per giungere alla redazione di una sintesi di dieci pagine. Queste sintesi saranno quindi inviate alle conferenze episcopali nazionali, che ne faranno una sintesi globale. Inviati a Roma, questi documenti serviranno quindi da base, a partire dal settembre 2022, a nuove discussioni a livello continentale. Essi sfoceranno nell’elaborazione di nuove sintesi che nutriranno finalmente la fase sinodale romana dell’ottobre 2023.
Questo vasto processo è stato ben accolto dalla maggior parte dei Vescovi consultati da I.Media. Esso viene tuttavia ad aggiungersi, a loro avviso, a un calendario già serrato, almeno per il 2021, ed occupato da due celebrazioni volute da Roma:
Ad esempio mons. François Kalist, arcivescovo di Clermont-Ferrand, ha lamentato una «disparità tra le ambizioni e i mezzi», considerando che il breve lasso di tempo tra l’annuncio del sinodo e il suo lancio, così come i soli sei mesi della fase sinodale su scala diocesana, lasciano «appena il tempo» di avviare il processo.
2Il Sinodo sulla sinodalità compie la riforma di papa Francesco?
«Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si attende dalla Chiesa del terzo millennio». Queste parole papa Francesco le ha pronunciate nel 2015 a Roma, in occasione del 50º anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi. Quali sono i nemici dell’“aggiornamento” domandato dal Pontefice? Lo spirito del “clericalismo”, male che egli non cessa di denunciare e che consiste nel sopravvalutare il potere spirituale del Papa, del Vescovo e del prete, ma anche del fondatore o del responsabile di una entità della Chiesa.
Papa Francesco però ha di mira anche la “rigidità” che per principio rifiuta ogni cambiamento, mentre secondo lui la Chiesa è umana e dunque costruttivamente chiamata ad essere in movimento – e proprio in questo sta la definizione della parola “sinodo”, “camminare insieme”. «È stato eletto proprio per questo», dichiarava recentemente ad I.Media mons. Joseph Ha, vescovo ausiliare di Hong Kong. Il prelato cinese si ricordava del resto che il pontefice argentino aveva inaugurato il proprio pontificato creando un consiglio di cardinali incaricato di accompagnarlo e consigliarlo – un «segnale forte».
Il Papa, che non ha mai fatto mistero del proprio scetticismo riguardo allo spirito centralizzatore della Curia Romana, ha spesso cercato – con le nomine, con le dichiarazioni e con lo stile di governo – di deconcentrare il potere dell’amministrazione romana.
Ha già promosso tre sinodi, dal 2013:
Alla fine dell’ultimo ha poi deplorato le polemiche che hanno cercato di trasformare la questione sinodale in una lotta politica.
Come dichiarava nel suo Discorso di Natale alla Curia Romana nel 2020, la Chiesa
Tra le due situazioni, insisteva in quell’occasione, «solo la presenza dello Spirito Santo fa la differenza». E il cardinale Mario Grech, segretario del Sinodo dei vescovi, non ha fatto che ripetere queste parole: se il Sinodo non impara a discernere meglio, vale a dire ad ascoltare la volontà di Dio, individualmente e collettivamente, «sarà un fallimento».
3Il Sinodo può ledere l’unità della Chiesa?
È «sempre una sfida, quella di andare nelle profondità dello spirito», ha dichiarato recentemente ad I.Media mons. Heinrich Timmerevers, vescovo di Dresden-Meißen. Il prelato tedesco parla per esperienza: sebbene egli sia convinto che la dimensione sinodale della Chiesa sia oggi «cruciale», egli sa pure che nel suo Paese il sinodo nazionale avviato nel 2019 non è stato un lungo fiume tranquillo.
Il suo confratello svizzero della diocesi di Sion, mons. Jean-Marie Lovey, comprende bene questo timore; egli ritiene tuttavia che esso sia fondato principalmente su presupposti che mandano in corto-circuito la procedura stessa: il sinodo non è un parlamento politico, insiste l’Elvetico, bensì un «camminare-insieme», donde l’etimologia della parola. È per questo che il Sinodo non può dividere, ma al contrario «apporta una comunione più grande» a una comunità che stenta a pensarsi come unica.
I due vescovi concordavano in ciò con papa Francesco, che nel suo libro Ritorniamo a sognare (2020) distingueva l’opposizione fruttuosa della «contrapposizione» alla sterile binarietà della «polarizzazione».
Altrimenti detto, per il Papa il Sinodo non deve negare i disaccordi, i carismi, le sensibilità in seno alla Chiesa ma alcontrario esplorarle come differenze per mettersi alla ricerca di una coesione più grande.
Egli diceva di vedere del resto nel processo sinodale un mezzo per «rivelare le agende e le ideologie nascoste». Invece che averne paura, egli riteneva che le pressioni ideologiche sarebbero «un buon segnale». Dappertutto infatti, dove è presente lo Spirito di Dio, «le tentazioni di farlo tacere o di distrarlo sono pure presenti». E aggiungeva: «Se non fosse presente lo Spirito, queste forze non se ne preoccuperebbero».
Se la dinamica sinodale vuole rinforzare l’unità in seno alla Chiesa, essa è pure pensata per rinforzare i legami tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane.
4Il sinodo vuole rispondere alla crisi degli abusi nella Chiesa?
Così si leggeva sul suo account Twitter il 5 ottobre scorso, giorno della pubblicazione del rapporto della CIASE sugli abusi sessuali nella Chiesa in Francia: l’appello della sottosegretaria del Sinodo dei Vescovi, suor Nathalie Becquart, è un segnale chiaro. La crisi degli abusi sessuali – proprio perché deriva precisamente da una nozione sviata dell’esercizio di autorità nella Chiesa – sarà al cuore delle riflessioni sinodali, almeno nelle diocesi in cui sono stati acclarati dei casi.
Interpellato da I.Media, Jean-Marc Sauvé, presidente della CIASE, vede del resto nel sinodo in procinto di aprirsi un’opportunità di riflettere sulla governance della Chiesa cattolica:
E poi più apertamente:
Quattro giorni prima della pubblicazione del rapporto della CIASE, mons. Éric de Moulins Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale di Francia, che si trovava a Roma, dichiarava che al momento non si sta pensando di avviare in Francia un processo sinodale nazionale per rispondere alla questione degli abusi – come è invece avvenuto per la Chiesa in Inghilterra o in Irlanda. Il presule lasciava tuttavia intendere che il sinodo in apertura il 16 ottobre in tutte le diocesi del mondo sarà l’occasione per «raccogliere quel che verrà» su tali questioni.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]