di Pablo Perazzo
In questo momento vi viene di certo in mente almeno una cosa che vi provoca dolore o preoccupazione, vero?
Nel Vangelo di San Luca (9, 18-22), in cui Pietro riconosce il Signore come il Messia atteso, Gesù è molto chiaro al momento di spiegare che non è venuto ad abbattere il governo di turno, né a instaurare un regno vittorioso per i Suoi seguaci.
Gesù dice anche chiaramente che il Suo futuro a Gerusalemme sarà la morte in croce, dopo ore di agonia, molta sofferenza e scherno di ogni tipo.
Per questo dobbiamo essere consapevoli del fatto che ci sarà sofferenza, che seguire Cristo implica il fatto di prendere su di sé la croce, implica il fallimento in questo mondo.
Finché viviamo in questo mondo indefettibilmente segnato dal peccato, è impossibile fuggire dalle conseguenze delle azioni contro l'amore di Dio, iniziate con i nostri primi progenitori come leggiamo nel libro della Genesi (2, 17).
Il Signore ci promette il giogo dolce e il peso leggero (Matteo 11, 30), come anche il centuplo per uno, come ha detto a San Pietro (Marco 10, 28-31).
La felicità che ci offre Gesù Cristo non è il fatto di stare ai primi posti, né di avere in abbondanza. Egli ci dice che chi vuole essere il primo dev'essere l'ultimo (Marco 9, 35).
Chi lo segue, poi, non avrà dove posare il capo (Luca 9, 57-58). Gesù è venuto a servire e non a essere servito. Ha rinunciato totalmente alla Sua condizione divina (Filippesi 2, 26-11), assumendo il peso di tutti i nostri peccati, anche se non ha avuto colpa di nessuno di essi.
In questa vita non esiste una felicità assoluta. La vita eterna e la partecipazione alla gloria celeste saranno vissute dopo la morte (se Dio lo permette).
Si illude chi crede che qui sulla Terra troverà una felicità totale, che tutto sarà bello, meraviglioso, esente da problemi o difficoltà. Una vita tranquilla, comoda, confortevole.
Ferite, malattie, conflitti, morti e molti altri tipi di sofferenza fanno parte di questa vita.
La vita è così, e non c'è nulla che cambi questa realtà. Non serve a niente vivere dando le spalle alla sofferenza, cercando di fuggire e non affrontando le situazioni complicate della vita, o cercando di trovare compensazioni che allevino il dolore.
Ciò che è certo è che grazie al Battesimo partecipiamo già alla vittoria di Gesù sulla morte, la sofferenza e il peccato. Lo diciamo in continuazione nel Padre Nostro: “Venga il Tuo Regno” (Matteo 6, 10).
Si tratta di far crescere nel nostro cuore il seme del Regno, e di poter vivere davvero quella gioia che non ha fine. Partecipiamo già alla vita gloriosa, è già una realtà.
Il Signore, però, ci ricorda che finché vivremo su questa terra le ossa continueranno a spezzarsi e i cuori saranno ancora feriti.
Gesù non è una specie di guaritore o di guru spirituale che ci offre una vita piacevole o ci promette un'esperienza di felicità a prova di sofferenza.
E ci fa prendere consapevolezza del contrario, del fatto che seguirlo implica necessariamente il fatto di accettare le sofferenze di questa vita. Se lo vediamo da un'altra prospettiva, quello che ci chiede il Signore è seguirlo come siamo. Né più né meno.
Prendendo su di noi le nostre gioie e le nostre tristezze, luci e ombre. Vuole che Gli mostriamo le nostre sofferenze, perché possa prendere su di Sé con noi la croce che portiamo giorno dopo giorno.
Se, però, accettiamo e riconosciamo le croci con le sofferenze che implicano, sapremo accogliere la vittoria della Resurrezione di Cristo dopo tre giorni dalla Sua tragica morte.
È molto importante comprendere questo punto con chiarezza. Finché non riconosciamo le ferite – di ogni tipo – che portiamo nel cuore e non ne accettiamo il peso e la gravità, non accoglieremo con apertura tutta la grazia della vittoria nella Resurrezione.
Se non moriamo con Cristo, non saremo neanche partecipi della Sua Resurrezione (Giovanni 6, 39-40). È difficile da dire, ma se non affrontiamo e sperimentiamo la crudezza della sofferenza che comporta ciascuna delle nostre croci in questa vita, non potremo assaporare la forza della vittoria della vita che vince la morte.
L'unico modo di dare un senso al nonsenso della sofferenza è affrontarla mano nella mano con Gesù. È Lui l'unico che trasforma la sofferenza in un'occasione per vivere l'amore.
La croce della morte diventa l'albero della vita, e attraverso la tragedia più grande della storia dell'umanità nasce il seme di una nuova vocazione.
Dalla morte di Dio nasce una seconda Creazione (cfr. Prologo di San Giovanni), e tutto diventa nuovo. La croce è seme di speranza. Come ci dice San Paolo, la follia della croce è strumento di salvezza per noi cristiani, ragione della nostra fede (1 Corinzi 15, 14).
Con la nostra forza umana possiamo sviluppare abitudini che ci permettono, nel migliore dei casi, di avere un atteggiamento positivo di fronte a una realtà difficile che non sappiamo come cambiare.
Si parla molto del fatto di vivere la resilienza, di riscattare l'angolo che ci permetta di crescere e di sviluppare capacità che prima non avevamo. La sofferenza, però, continuerà sempre ad essere il “sassolino nella scarpa”.
Solo Cristo “prende il toro per le corna”. La sofferenza non smetterà mai di essere un mistero insondabile. Le verità della nostra fede cristiana ci permettono di comprendere un po' di più questa realtà, e di viverla con un atteggiamento molto più speranzoso di quello di chi non ha fede.
Detto questo, potremo comprendere come la sofferenza sia una realtà impossibile da eludere nella vita. Anzi, è una cosa talmente comune e presente nella vita di tutti noi che dovremmo accettarla e imparare a conviverci in modo molto più naturale.
Come abbiamo gioia e momenti meravigliosi, abbiamo anche tristezza e ragioni che ci fanno soffrire.
La persona matura riconosce che deve imparare a convivere con questo, e allora il punto non dovrebbe essere tanto il fatto di accettarlo, ma di chiedersi come affrontarlo per avere la vita migliore possibile.
È qui che il cristianesimo ha un tesoro ricchissimo da offrire. Per noi credenti, la sofferenza è un'esperienza che ci unisce e ci avvicina ancor di più a Gesù.
A Cristo appeso alla croce, a Cristo sofferente. Come cristiani, siamo chiamati a un rapporto intimo di amicizia con Gesù. Nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male.
Questo rapporto d'amore implica la sofferenza. Quando si ama qualcuno, si è disposti a seguirlo e ad essere suo amico anche nelle difficoltà.
E allora il cammino della croce, la via della sofferenza, è anche una strada che ci configura a Cristo, con la Sua vita di donazione, sacrificio e generosità.
La sofferenza, lungi dall'essere qualcosa che ci rende qualcosa di meno, ci permette di maturare come persone, e ovviamente come cristiani. È una via attraverso la quale diventiamo più persone, perché amiamo di più.
E così siamo più felici, perché l'amore è la via della felicità. Per questo, che si tratti di esperienze gioiose o difficili, dobbiamo assumerle come proprie. Non fare la vittima della situazione, ma essere protagonisti della nostra sofferenza.
In questo modo, la sofferenza non diventa un ostacolo che mi limita o mi determina, ma piuttosto un'occasione per svilupparmi e realizzarmi ancor di più in base a quello che Dio si aspetta da me.
Non è Dio che ci manda le sofferenze o i problemi, in questo mondo la vita è così. Piuttosto, Dio si avvale di tutto ciò che viviamo per farci crescere nell'amore, in santità e felicità.
Per questo, si avvale ovviamente anche della nostra sofferenza per trarre il meglio da noi. Anzi, sembra che soprattutto nei momenti della croce si preoccupi maggiormente della nostra situazione dolorosa.
Lo vediamo con il figliol prodigo (Luca 15, 11-32), con la samaritana (Giovanni 4, 5-43), con l'adultera (Giovanni 8, 1-11) e altri personaggi che vengono riscattati dal Signore.
Non pensiamo mai che Dio ci mandi il male, perché non vuole mai niente di negativo per noi. E non pensiamo che voglia che viviamo certe situazioni per maturare.
Ripeto, non vuole mai niente di negativo, si avvale delle difficoltà e delle sofferenze per educarci, come un padre che educa i suoi figli e sa che a volte deve esigere cose che costeranno loro. Perché affrontare le croci e la sofferenza, accettarle e viverle, implica ovviamente dolore.
E non pensiamo che Dio non voglia stare con noi, che non ci ascolti. Quando sentite che non vi è accanto guardate la croce, perché il Signore è lì per noi.
Starà lì finché non verrà sconfitto l'ultimo nemico: la morte (1 Corinzi 15, 26). Forse riusciremo a comprendere il mistero della sofferenza solo in cielo, ma nel frattempo quello che sappiamo con certezza è che Dio non ci ha abbandonati, ma si è fatto uomo per accompagnarci nel nostro dolore. È morto sulla croce per ciascuno ed è rimasto in un pezzo di pane per rafforzarci ogni volta che ne abbiamo bisogno.
Se vi sentite soli, cercatelo in una cappella in cui ci sia un tabernacolo o accostatevi alla Confessione.
Dio bussa costantemente alla porta del vostro cuore. Ascoltatelo e lasciatelo entrare per poter raccogliere molte benedizioni da quella sofferenza che sembra non avere senso (Apocalisse 3, 20).