Il terzo capitolo del Monastero Wifi, svoltosi lo scorso 2 ottobre nella Basilica di San Pietro a Roma, ha puntato tutto sulla preghiera. Che azzardo. È l'esperienza più semplice ed essenziale del cristiano, perciò richiede un lavoro enorme. E quando noi parliamo di lavoro e impegno, spontaneamente pensiamo allo sforzo e all'aggiunta.
A Don Luigi Maria Epicoco è stata affidata una catechesi sulla preghiera del cuore e nella mezz'ora a sua disposizione ha mostrato che quando la preghiera è al lavoro, non c'è sforzo ma disponibilità, non c'è aggiunta ma anzi una continua tensione al togliere.
Non c'è parola più succulenta di 'cuore' per catturare l'attenzione mediatica di qualunque pubblico. Se il cuore fosse quello spazio magico dove esplodono emozioni e desideri, non ci sarebbe bisogno di meditare sulla preghiera del cuore. Basterebbe lasciarsi andare a quel flusso di parole spontanee e palpiti che scaturisce dall'istinto.
E invece siamo qui pronti a scarpinare un po' per stare di fronte a ciò che già si chiese Alessandro manzoni: «Ma che ne sa il cuore?».
Tutto è qui. Il tutto della nostra persona si gioca nella possibilità che sia vero quello che Don Luigi Maria Epicoco ha detto in apertura della sua catechesi. Il vero senso della preghiera è entrare in rapporto con Lui, ben al di là delle cose che chiediamo di ottenere con la preghiera. Ne è un esempio il caso dell'emorroissa di cui leggiamo nel Vangelo. È una donna afflitta da una sofferenza precisa e il suo desiderio, la preghiera che la muove a toccare Gesù, è che il suo dolore fisico abbia fine. Sfiorando le vesti di Gesù tra la folla, effettivamente il miracolo accade e la sua emorragia si ferma. Ma il vero miracolo accade dopo, quando Gesù si ferma, si volta e la cerca:
Questo incontro occhi negli occhi con Dio, che è il dono più grande della preghiera, ci chiede la fatica di una discesa e poi di una risalita nella conoscenza di noi. Chesterton disse che l'io è più lontano di ogni galassia. Scoprire dove e come accade questo incontro vivo con Dio è tutt'uno con il dare un un volto al proprio io.
La persona - intesa come corpo, parole, pensieri ed emozioni - è stata al centro di tutto il discorso di Don Luigi Maria. Il primo passo è scendere nell'intimo fino a conquistare la roccaforte del vero cuore, il secondo movimento è quello della risalita: grazie al miracolo che può accadere dentro il cuore ogni parte di noi cambia letteralmente aspetto. E' proprio come fece Dante, che prima passò dall'Inferno per liberarsi delle scorie che lo appesantivano e poi risalì verso il Cielo per riguardare se stesso con occhi nuovi.
La discesa comincia riconoscendo che Dio si fa incontrare nel modo più consono a ogni persona. Esistono 4 alfabeti della preghiera e rispondono a come è fatto l'uomo, a quelle che possono essere le sue esigenze per mettersi davvero in relazione:
Ma proprio perché in questo incontro c'è in gioco il bene essenziale di ogni essere umano, la preghiera è il 'luogo' più aggredito dal male. L'opposto stesso della relazione è il diavolo, colui che separa. Il male si infila in tutti e 4 gli alfabeti della preghiera: ci toglie le parole, si infila nei ragionamenti, ci induce a credere di aver pregato bene se sentiamo delle emozioni positive.
C'è una parola strana in italiano: ospite. Si riferisce sia a chi è ospitato sia a chi ospita. Non c'è mistero più commovente di quello che riguarda il cuore, luogo di un'ospitalità in cui il nostro io più autentico sta con Dio. Ospite uno e ospite l'altro. Noi lo accogliamo, Lui si lascia ospitare. Ma anche: accogliendoLo ci sentiamo ospitati da Lui in una casa più solida di ogni edificio umano.
Possiamo fare un bel falò di tutto il romanticismo da quattro soldi che innalza il cuore a motore di una libera emotività egocentrata, capace di sentimenti potentissimi e contrastanti. Il cuore cantato nelle canzoni del mondo moderno è fondamentalmente solo, e fiero di esserlo. L'abbaglio di tutta la riduzione romantica a proposito di cuore è quello di averlo ridotto, come ogni altra sfera dell'umano, a un inferno sotto mentite spoglie: qualcosa di sublime, profondo, meraviglioso ma innestato solo su se stesso. Destinato perciò ad avvizzire.
Tra le evidenze preziose che il cristiano è chiamato a custodire e donare al mondo c'è la certezza che il cuore non è un organo singolare, ma un nido vivo e plurale della nostra persona:
Dio è un ospite discreto, ci abita dentro con tutta la premura di non essere invadente. Non è un'evidenza, ma una presenza. Il punto più intimo della discesa al fondo di noi ascoltare un sussurro leggero dentro il silenzio.
Eccoci al ribaltamento da cui comincia la risalita. Ci sarebbe da gridare di gioia e urlarlo ai quattro venti: proprio la parte più preziosa di noi dove la coscienza e l'affetto si incontrano è sempre presidiata dalla presenza di Dio. Se il cuore è il nido del nostro vero io, non c'è cosa più benedetta di saperlo sempre abitato da Qualcuno. Non c'è speranza più grande di sapere che nonostante le nostre fughe e latitanze, il centro della nostra persona non è abbandonato dal Padre. Se Lui c'è, possiamo chiamarlo.
Il nostro margine di azione nella preghiera non è perciò uno sforzo di aggiunta, ma semmai l'opposto: dobbiamo liberare la strada da tutti gli ostacoli che si frappongo tra noi e questo chiamare nostro Padre, per sentire la sua voce. Tutto il nostro impegno deve favorire l'attenzione alla sua Presenza.