Su Psicologia Contemporanea è apparso un interessante articolo - a firma delle psicologhe Alessandra Salerno e Marzia Movarelli - che si focalizza approfonditamente sulla centralità della qualità della comunicazione emotiva tra i membri per il benessere della famiglia. In particolare quando nel nucleo domestico sono presenti bambini, e tanto più se piccoli.
I ricercatori che si sono occupati di individuare quale sia la caratteristica principale che connota le famiglie “con buon funzionamento” sono concordi nel ritenere che la comunicazione riveste un ruolo di fondamentale importanza, insieme alla coesione ed alla flessibilità.
La comunicazione familiare prevede tre sottosistemi: quello fra adulti come coppia e genitori, quello tra fratelli e quello sistemico intergenerazionale che coinvolge tutti i membri.
Una comunicazione adeguata deve essere fondata sull’ascolto attento, il rispetto e l’apertura mentale, garantendo così la trasmissione sia di contenuti significativi che di messaggi emotivamente interattivi, funzionali al rafforzamento delle stesse relazioni intrafamiliari.
Una buona comunicazione, affermano le autrici dell'articolo, riveste anche un ruolo protettivo rispetto alle situazioni a rischio a cui i minori possono andare incontro. In quanto messaggi opportunamente calibrati emotivamente e nei contenuti rappresentano una base sicura da cui partire per esplorare l’ambiente esterno, sempre più ampio e complesso con cui essi vengono progressivamente ad interagire.
Un aspetto su cui gli studiosi si sono particolarmente concentrati riguarda gli strumenti con cui i genitori stimolano la competenza emotiva dei bambini. Essi si avvalgono per questo scopo di strategie dirette ed indirette. Con le prime essi cercano di insegnare ai figli sia a riconoscere e distinguere le varie emozioni, che ad individuare le corrette modalità per esprimerle e regolarle.
Fra quelle indirette vi sono i comportamenti naturali dei genitori che rappresentano la base del modeling: l’apprendimento tramite l’osservazione e l’imitazione di un modello affettivamente significativo, quello parentale in primis.
Infatti osservare papà e mamma esprimere le proprie emozioni, insieme alla loro intensità, le caratteristiche espressive verbali e corporee - oltre al contesto in cui vengono esternate - costituisce per i bambini la palestra più immediata e privilegiata per allenarsi emotivamente, guidati da questi istruttori a volte inconsapevoli delle indicazioni che stanno fornendo.
Altra modalità indiretta è rappresentata dalla contingency: l’apprendimento da parte del bambino attraverso i messaggi non verbali del genitore in risposta alle espressioni emotive del bambino.
Sottolineano le autrici che quando un papà o una mamma consolano il figlio triste o lo tranquillizzano se spaventato, forniscono - attraverso la sintonizzazione affettiva con il suo stato d’animo - significato all’esperienza del minore aiutandolo a diventare consapevole dei propri moti interni.
Il bambino deve imparare non solo a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni ma anche a regolarle: inibirle, controllarle, trasmetterle all’esterno tenendo conto di quanto valuta accettabile socialmente nel contesto di riferimento socio-culturale.
Un aspetto particolare della comunicazione emotiva all’interno della famiglia riguarda il caso del bambino che manifesta un disagio psicologico. In passato egli veniva preso in carico da solo, separandolo artificialmente dal contesto familiare in cui era immerso.
Attualmente e più opportunamente, sottolineano le due psicologhe, è l’intero nucleo familiare ad essere preso in carico, consentendo così non solo la depatologizzazione del bambino “problematico”, ma anche la possibilità da parte sua di recitare il ruolo di valido “co-terapeuta”.
Si viene così a riconoscere ed utilizzare nel lavoro terapeutico la sua competenza riguardo il tessuto relazionale ed affettivo della sua famiglia.
Come afferma Maurizio Andolfi, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta familiare:
Oggi accade sempre più spesso che attraverso l’espressione emotiva del proprio malessere i bambini inducano i genitori in difficoltà a richiedere l’aiuto di un terapeuta.
Quest’ultimo, cogliendo quanto è sotteso alle manifestazioni problematiche del minore, è in grado così di decifrare correttamente i ruoli e lo stato autentico delle relazioni familiari grazie ad una prospettiva privilegiata, messagli a disposizione dal suo piccolo “co-terapeuta”, vero e grande esperto di comunicazione non verbale.