Troppo lavoro nero per le suore: la denuncia arriva dagli organi di stampa del Vaticano. Segretarie, infermiere, insegnanti ma anche badanti e colf: le religiose sono spesso al servizio di cardinali, diocesi, parroci, scuole e cliniche cattoliche. Ma il loro lavoro in molti casi non è considerato tale.
Non ci sono orari, contratti, diritti. La denuncia di una situazione abbastanza diffusa ma tenuta normalmente sotto tono arriva dal mensile dell'Osservatore Romano 'Donne Chiesa Mondo'.
Il numero di ottobre è dedicato alla vita delle suore e il giornale del Papa ha scelto di puntare i fari su questa realtà, dopo aver denunciato in passato anche il fenomeno degli abusi, di autorità e sessuali, che si consumano nei conventi (Ansa, 2 ottobre).
«Nei rapporti delle suore con i loro datori di lavoro c'è stato un offuscamento di quelli che io chiamo i confini. E' una questione che dobbiamo affrontare». A parlare così, nell'intervista al mensile femminile del giornale vaticano, è Maryanne Loughry, suora della Misericordia, docente al Boston College e consulente del Centro dei Gesuiti per i Rifugiati.
«E’ ormai acclarato - afferma Grazia Villa, avvocata per i diritti della persona - che la mancanza di indipendenza economica rappresenta il maggiore ostacolo che impedisce alle donne di sottrarsi a situazioni di violenza».
Nelle recenti disposizioni introdotte da Papa Francesco, recepite anche da alcune Conferenze episcopali, spiega Villa, «si individua la categoria di persona vulnerabile, ampliando il significato contenuto in altri testi e derivato dalle interpretazioni canoniste finora vigenti sui delitti contro il sesto comandamento».
Al paragrafo 2 dell’art.1 del Motu Proprio del 26 marzo 2019 "Sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili", si definisce vulnerabile «ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa».
«Il Vaso di Pandora, già crepato dalla forza di alcune donne coraggiose - conclude l'avvocato - a volte appoggiate da superiore libere, si è rotto», e «ha spinto un Papa a chiamare “lupi” i suoi “confratelli” predatori. Ma la strada è molto lunga».