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Vescovi USA discutono: «Trans in seminario, saremo costretti a “controllare”»

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 01/10/21
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Dopo il trans che vuole farsi suora, fioccano i casi di donne trans che s’infiltrano in seminario tacendo di ormoni e interventi. A che cosa potrà portare il dovere di verificare l’idoneità dei candidati agli Ordini Sacri? E quali ferite la Chiesa già comincia a riportarne?

Vi ricordate la storia della “papessa Giovanna” e del famigerato “rituale della palpatio”, affisso nell’immaginario comune grazie alla crassa generale ignoranza in fatto di storia e mediante l’evocazione della per noi esotica “sedia stercoraria”? Ecco, sebbene normalmente si voglia che la storia torni due volte, prima in forma di tragedia e poi di farsa, stavolta il racconto farsesco potrebbe fungere da canovaccio per una o molte tragedie. 

In qualità di presidente della Commissione della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America per gli Affari Canonici e il Governo della Chiesa, l’arcivescovo di Milwaukee Jerome Listecki ha inviato pochi giorni fa una nota ai confratelli membri della USCCB: 

Il presule ha precisato che in uno dei casi riscontrati «i documenti ecclesiastici individuali erano stati ottenuti in modo fraudolento così da poter riflettere la nuova identità della giovane»: in tutti quanti però 

La buona notizia è che «ognuno di questi casi è stato scoperto prima del conferimento degli Ordini Sacri»; del resto, se anche l’ordinazione fosse stata conferita, essa sarebbe invalida ipso iure (e il problema principale sarebbe allora relativo ai sacramenti dolosamente amministrati dall’impostora nel frattempo). Con questo terminano però le “buone notizie”: 

E questo è noto a chiunque come agli stessi Vescovi. Che cosa converrà fare, dunque, per prevenire simili incresciose situazioni? 

La nota si conclude con il tono velatamente riluttante di chi si dice essere stato «incoraggiato dalla Commissione ad avvertirvi di questi casi, in modo che possiate esercitare particolare attenzione ora che comincia il nuovo anno formativo nei seminari». 

L’imbarazzo eppure la necessità della comunicazione si raccolgono almeno attorno a tre o quattro grandi punti: 

    La sottovalutazione del carico di dolore, confusione e inadeguatezza che porta le persone a imboccare la via del transgenderismo – davanti alla quale la stessa nuda omosessualità appare ridimensionata a piccola anomalia del comportamento umano – è ciò che porta la vulgata mondana a rimproverare alla Chiesa la propria intransigenza in questi (fra altri) termini: 

    La brevità di questi affondi, nonché la loro aderenza a tratti dominanti del sentire comune, fa sì che essi risultino assai efficaci nel propagarsi (perfino tra i fedeli meno formati e/o meno riflessivi). Allo stesso modo le chiacchiere e le maldicenze possono sedimentarsi le une sulle altre fino ad assumere sembianza di consistenza reale, perfino di veridicità storica. 

    È quanto avvenne – con non remota analogia rispetto alla materia del Memorandum – nella costruzione della leggenda della “Papessa Giovanna”, della quale si trova su Wikipedia Italia una eccellente sintesi storica, della quale riportiamo uno stralcio importante: 

    […] Il primo a pubblicare la leggenda, negli anni 1240, fu il cronista domenicano Giovanni di Metz, ripreso pochi anni dopo dal confratello domenicano Martino Polono.

    Come per tutti gli altri miti in generale, esiste una parte di verità, abbellita da uno strato di finzione. Una sedia simile esiste; quando un papa prendeva possesso della sua Cattedra romana, in San Giovanni in Laterano, si sedeva tradizionalmente su una delle due sedie di porfido (la pietra degli imperatori, assimilata alla porpora), con la seduta dispiegata a ciambella. Il motivo di questi fori è oggetto di discussione, ma poiché entrambe le sedie, di età costantiniana, sono più vecchie di secoli della storia della papessa Giovanna, esse non possono avere niente a che fare con una verifica del sesso del papa.

    Si è ipotizzato che fossero sedie per il parto, provenienti da Costantinopoli, e che in origine fossero a uso esclusivo di donne appartenenti alla famiglia imperiale: di qui il porfido di cui sono costruite. Il D'Onofrio (cfr. bibliografia) spiega invece, in maniera convincente, che il rito aveva carattere essenzialmente religioso: la sedia da parto simboleggia la madre Chiesa che genera i suoi figli alla vita eterna. Una delle due sedie è esposta nella sala chiamata Gabinetto delle Maschere, nei Musei Vaticani. L'altra, in epoca napoleonica, fu portata a Parigi e ora è nel museo del Louvre.

    Molti autori fanno poi confusione con una terza sedia, di marmo e non di porfido, priva di foro, ancor oggi visibile nel chiostro annesso alla Basilica Lateranense, detta sedia stercoraria. La Teologia portatile o Dizionario abbreviato della Religione Cristiana[5] di d'Holbach definisce la sedia stercoraria come «sedia bucata su cui il pontefice appena eletto pone le sue sacre terga, affinché possa essere verificato il suo sesso, onde evitare l'inconveniente di una papessa». Nella Vita della papessa Giovanna, il Platina rammenta la sedia stercoraria in questi termini: «questa sedia è stata così predisposta affinché colui che è investito da un sì grande potere sappia che egli non è Dio, ma un uomo e pertanto è sottomesso alle necessità della natura».[6]

    La leggenda della Papessa fu utilizzata dagli storici protestanti come strumento nella polemica contro la Chiesa Cattolica. «Su questo tema la polemica confessionale era aspra, specialmente dopo che i Centuriatori di Magdeburgo avevano dichiarato autentico il racconto della papessa Giovanna — rigettato dal Panvinio — , di cui la tradizione narra che fu scoperta durante una processione mentre accusava i dolori del parto. Contro la storicità della papessa, ripugnante ad un intellettuale della Controriforma, si schierò decisamente il Bellarmino; in particolare osservò che tra il pontificato di Leone IV e quello di Benedetto III la sede papale restò vacante solo pochi giorni, insufficienti perché una donna vestisse la tiara. Baronio affrontò la questione con l'onestà intellettuale che gli era propria: non soddisfatto delle letture che faceva a Roma, chiese chiarimenti al dotto patrologo gesuita Fronton du Duc in modo peculiare intorno alle fonti che trattavano della pretesa papessa. A tale proposito il suo corrispondente gli suggerì la lettura di uno scritto dello storico francese Florimond de Rémond, confutatore del racconto, cui Baronio si richiamò negli Annales quando giunse a trattare l’inanis fabula, per dirla con lo storico sorano. Partendo dalle osservazioni del Bellarmino, credeva che alla genesi della diceria avessero contribuito essenzialmente due episodi: innanzitutto la debolezza mostrata da Giovanni VIII, che da molti fu considerato foemina; poi una lettera che il pontefice Leone IX aveva inviato nel 1054 a Michele Cerulariopatriarca di Costantinopoli, in cui gli rimproverava la promozione di una donna ad alte cariche sacerdotali. Il cardinale filippino trae la conclusione che questo evento riguardante la Chiesa di Costantinopoli sia stato successivamente assegnato dagli scismatici alla Chiesa di Roma.»[7]

    Dopo la confutazione di Baronio il mito della papessa Giovanna cadde in discredito anche presso gli studiosi protestanti come David Blondel, storico e pastore calvinista della metà del Seicento. Blondel, attraverso un'analisi dettagliata delle affermazioni e delle tempistiche suggerite, argomentò che nessun evento di questo tipo poteva essere avvenuto. Tra le prove che discreditano la storia della papessa Giovanna troviamo:

      Il momento della prima comparsa della storia coincide con la morte di Federico II di Svevia, che era stato protagonista di uno stridente conflitto con il papato. Gli storici concordano in generale sul fatto che la storia della papessa Giovanna sia una satira anti-papale, ideata per collegarsi allo scontro del papato col Sacro Romano Impero, facendo leva su tre paure cattoliche medioevali:

        Ciò che potrebbe aver preso avvio come satira da presentare nei carnevali di tutta Europa, finì comunque per essere una realtà accettata, a tal punto che alla papessa Giovanna fanno riferimento personaggi come Guglielmo di Occam. Ella compare anche in alcuni elenchi di Papi, principalmente nel Duomo di Siena, dove la sua immagine appare tra quelle dei veri pontefici. […] [fine citazione, N.d.R.]

        Lo schema è spesso quello: 

          Su questo tripode viene imbastita una calunnia, la quale viene successivamente ripetuta e dotata di espansioni realistiche (talvolta iper-realistiche) atte a suffragarne la verosimiglianza, quindi a simularne la veridicità, infine a millantarne la verità storica. Probabilmente fu Francis Bacon a scrivere per primo “calunniate, calunniate, qualcosa resterà” – “audacter calumniare, semper aliquid hæret” (De dignitate et augmentis scientiarum, 1623) –, ma se espressioni simili si riconoscono in tutta la letteratura da Plutarco a Marx è evidente che la dinamica sia fin troppo consolidata e manifesta. 

          L’intransigenza della Chiesa, tuttavia, deve ribadirsi anzitutto per tutelare il carico di dolore e di confusione dei suoi figli erranti per la via del transgendersimo, come si evinceva già fin dal 2005, quando pur non parlando ancora di transessualismo la Congregazione per l’Educazione Cattolica promulgava la discussa Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri. Vi si leggeva, fra l’altro: 

          Non si può stabilire una ferma equazione tra le persone omosessuali e quelle incuneatesi nel transgenderismo – sia perché solo una piccola quota di persone omosessuali avvia procedure transgender sia pure perché vi sono persone che si identificano in un fenotipo sessuale diverso da quello di nascita ma che non hanno attrazione sessuale verso il loro stesso sesso (di nascita) – però il giudizio che la morale cattolica porta sul transgendersimo è tanto più severo di quello sull’omosessualità quanto più nel primo è contenuta una (variabile) dose di violenza proteiforme nei confronti della propria persona. Solo in tal senso, dunque, e non per una vera omogeneità con l’omosessualità – ma restando innegabile un’affinità in termini di cosiddetta “cultura gay”, già a partire dall’acronimo LGBT –, alla pratica transgender si rivolgono preclusioni analoghe a quelle relative alla pratica omosessuale. 

          La tragedia, in quanto tale, vive dello scontro fatale di due o più libertà che si trovano su posizioni irriducibilmente avverse (e non per questo una delle due è necessariamente cattiva): Antigone dà il nome alla tragedia di Sofocle, ma Creonte ha per la sua dura linea politica alcune forti ragioni (e non tutte solo sul versante della “legge scritta”). Analogamente, la Chiesa si ritrova suo malgrado a porre veti nell’accesso agli Ordini Sacri – in questo caso alle persone che presentano radicate tendenze omosessuali (e/o che sostengano la cosiddetta “cultura gay”) e ancora più nettamente a chi pratichi il transgenderismo – ma lo fa: 

            In quest’ultimo dato – il più duro e sublime – la posizione della Chiesa supera quella dell’antico Creonte perché ardirebbe a conciliare l’inconciliabile, ossia a raccogliere nel proprio abbraccio anche quei figli e quelle figlie che s’illudono di potersi costruire da sé e dal nulla della propria percezione e fantasia. 

            Questo può sembrare contraddittorio e perfino ipocrita, se non si fa lo sforzo di comprendere le ragioni della Chiesa, le quali tuttavia sono sempre state esposte con cristallina chiarezza, anche in quella già ricordata Istruzione del 2005: 

            Non è questione di avvertire pulsioni omosessuali o di “identificarsi” in un fenotipo sessuale differente dal genotipo: sia Matteo sia Luca (rispettivamente 9,57-62 e 8,19-22: dunque anche l’ipotetica Quelle comune?) raccontano di come, “bizzarramente”, Gesù abbia rimandato indietro “un tale” che voleva essere suo discepolo (e magari apostolo) e invece ad “altri” assai meno ardenti nello zelo ha ingiunto di seguirlo. Tutti capiscono che nessuno possa decidere di sposare una persona che in quel matrimonio non voglia da parte sua essere coinvolta; stranamente molti faticano a comprendere che sul piano ecclesiale la cosa si svolga analogamente, e cioè che alla disponibilità di chi si candida a servire il Popolo di Dio come ministro dei Misteri di Cristo debba corrispondere un discernimento svolto dalle rappresentanze qualificate di quello stesso Popolo – ovvero dai suoi pastori. Sarà pure legittimo ravvisare in questo una petizione di principio, ma a quel punto dovrebbe coerentemente finire in discussione la stessa fede di chi vorrebbe candidarsi… e ci si dovrebbe spontaneamente rivolgere ad altro. 

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