Il più piccolo aveva un giorno, la più grande 96 anni.
Perché dove sta scritto che a un certo punto si smette di essere figli? Arriva per tutti il momento di cavarsela da soli, di crescere, di prendersi delle responsabilità, una macchina familiare col porta bagagli grande e il poggia bibite che comunque non salverà la tappezzeria da sgocciolamenti vari di succo alla pera (perché tra gli optional non fanno anche i sedili idrorepellenti?).
Cresciamo e diventiamo noi gli adulti del caso, ma c'è un legame di cui non possiamo restare orfani mai.
Il motivo lo spiega benissimo Giancarlo Violetto, 57 anni, "casalingo", come si definisce scherzando sui social che si aspetterebbero nella descrizione una professione più "utile", sposato con Marina e papà di ottanta (sì, otto-zero come a tombola) figli, in una intervista ad Avvenire:
Che siano bambini abbandonati o con gravi malformazioni dopo aborti non riusciti come Mariangela, che sia una nonnina sola o una mamma col suo bimbo di poche ore, in questa casa famiglia nella campagna veneta della "Comunità Papa Giovanni XXIII" fondata da Don Oreste Benzi le porte e il cuore sono aperte a tutti.
La cosa bella è che l'affido non è stato una scelta dettata dalla necessità, perché Giancarlo e Marina hanno avuto anche figli "di pancia". È stata proprio la risposta alla chiamata più alta che può essere fatta a un uomo e una donna, quella a una fecondità vera, che fa spazio e accoglie:
Non importa quale sia la nostra età anagrafica, abbiamo bisogno di sapere di chi siamo. Abbiamo bisogno di sapere che qualcuno ci ama con quel "patris corde" a cui Papa Francesco ha dedicato questo anno.
E un cuore di padre non te lo danno insieme ai pannolini taglia uno o insieme alle due lineette sul ClearBlue. Non arriva. Si costruisce e, magari, si chiede. Anche perché, non c'è una paternità uguale per tutti, bisogna lavorarci giorno per giorno, guardando negli occhi chi hai di fronte.
Chi ti mette alla prova con quel "vuoi farmi da padre?, allora vediamo se sei in grado" o che ti chiede di mostrargli quel qualcosa per cui "nonostante tutto vale la pena" come racconta Giancarlo parlando delle esperienze coi figli che accoglie.
L'unica cosa standard che è nel cuore di ogni padre deve essere quell'umiltà di cambiare, di mettersi in gioco, al servizio, di allargare il cuore.
Strano come oggi responsabile sia accostato a tutt'altro approccio. Quello di prendere bene le misure con la vita, di avere abbastanza spazio tra carriera e palestra o soldi a sufficienza. Qui è più responsabile abbandonare o chiudere le porte alla vita che non farsi carico di chi è più debole. È responsabile usare dei preservativi, ma non parlare di quella affettivita' non dico per promuovere la castità, quanto almeno almeno per essere pronti all'eventualità (che si chiama vita) che si buchino.
Così i social o il mondo non hanno un'etichetta nella descrizione profilo che vada bene per uno che è "solo" un padre e si prende cura anche degli "errori" degli altri.
"Ogni persona che arriva in famiglia ti richiede un cambiamento, anche quando sono figli tuoi»,
precisa Giancarlo,
Cresciamo e di quel Patris Corde dove rifugiarci e a cui guardare abbiamo bisogno tutti. Anche Giancarlo, quando tre anni fa ha visto volare in cielo il suo primogenito Flavio per un incidente di parapendio:
La paternità è relazione e legame che non si spezza. Va coltivato e cercato, sulla terra come col padre del Cielo.