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Perchè San Giuseppe da Copertino era chiamato Fratel Asino e Boccaperta?

© Parrocchia San Giuseppe Copertino

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 24/09/21
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E’ uno dei santi più famosi e apprezzati, patrono degli studenti, eppure San Giuseppe da Copertino era distratto e ignorante

San Giuseppe da Copertino era un vero “disastro”, oltre che “duro” di mente, e per questi gli affibbiarono due soprannomi… di cui non andare proprio orgogliosi: Boccaperta e Fratel Asino.

San Giuseppe, appartenente all‘Ordine dei Frati Minori Conventuali, fu beatificato da papa Benedetto XIV nel 1753, e proclamato santo da papa Clemente XIII nel 1767.

La sua famiglia, originaria di Copertino (Lecce) era benestante, ma finì in miseria per un credito mai rientrato del padre. Al punto che Giuseppe, sesto figlio di Felice e Franceschina, nacque in una stalle. La madre, per giunta, rimase presto vedova.

E allora che iniziarono a palesarsi i “limiti” di Giuseppe, che si dimostrò incapace d’imparare il mestiere del carpentiere o dello scarparo, e faceva il garzone in un negozio. 

San Giuseppe da Copertino

A Copertino lo chiamavano “Boccaperta” per la sua abituale distrazione. In aggiunta, il creditore del padre ottenne dal Supremo Tribunale di Napoli, che Giuseppe unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza paga, fino a saldare il debito del defunto genitore. In pratica gli si prospettava una vita senza speranza.

Allora “Boccaperta” provò ad entrare in convento per tentare una vita diversa. A quasi 17 anni, lasciò la madre e bussò alla porta dei Frati Francescani Conventuali, convento detto della ‘Grottella’ a due passi da Copertino, dove un suo zio era stato padre Guardiano. Ma dopo un periodo di prova fu mandato via, per la sua poca letteratura, per semplicità ed ignoranza. 

Passò allora dai Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutarono. Si diresse allora dai Cappuccini di Martina Franca. Era il 15 agosto 1620, allora erano esigenti in fatto di cultura, vi restò otto mesi, ma per la sua inettitudine procurava continui disastri, aggravati da improvvise estasi durante le quali lasciava cadere piatti e scodelle, i cui cocci venivano attaccati alle sue vesti in segno di penitenza. Nel marzo 1621 fu rimandato a casa, sostenendo che non era adatto alla vita spirituale né ai lavori manuali (Famiglia Cristiana). 

Ritentò l’ingresso al “Grottello” e impietositi dal futuro San Giuseppe da Copertino, e sollecitati dallo zio materno, lo trattennero in convento. Faceva l’addetto ai lavori pesanti e alla cura della mula del convento. Ma Giuseppe ben presto espresse il desiderio di diventare sacerdote. Sapeva appena leggere e scrivere, ma intraprese gli studi con volontà e difficoltà. 

Quando dovette superare l’esame per il diaconato davanti al vescovo, non aveva molte possibilità. Ma accadde che a Giuseppe, il quale non era mai riuscito a spiegare il Vangelo dell’anno liturgico tranne un brano, il vescovo aprendo a caso il libro domandò il commento delle frase: “Benedetto il grembo che ti ha portato”, era proprio l’unico brano che egli era riuscito a spiegare. 

Quando trascorsi i tre anni di preparazione al sacerdozio, bisognava superare l’ultimo e più difficile esame, i postulanti conoscevano il programma alla perfezione, tranne Giuseppe.

Il vescovo ascoltò i primi che risposero brillantemente all’interrogazione e convinto che anche gli altri fossero altrettanto preparati, li ammise tutti in massa, era il 4 marzo 1628. Per la seconda volta fra Giuseppe, superò l’ostacolo degli esami in modo stupefacente e fu ordinato sacerdote per volere di Dio.

Il futuro San Giuseppe da Copertino era talmente conscio dei suoi limita che si definiva lui stesso Fratel Asino, e così lo chiamavano anche i suoi amici più stretti. Il suo soprannome era dovuto alla sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, alla sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, al non sapere maneggiare gli oggetti. 

Eppure nella vita di Fratel Asino, accaddero cose impensabili: ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura. con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace. Un professore dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”.

Divenne così un apprezzato predicatore, sempre pronto ad aiutare i poveri. Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni.

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