"[...] alla vita noi vogliamo affidarti. Alla vita che sboccia intorno a noi, la vita dai colori cangianti della rosa. Una rosa che da bocciolo sboccia e regala, dona, infinite sfumature mantenendo nei colori, l’intensità dell’amore.
Oggi, alla tenerezza della rosa vogliamo affidarti. Sia lei, con la tenerezza dei suoi petali ad accarezzare il tuo volto, a cullare nel sole che sorge il tuo sorriso.
Perché questo mondo non abbia a vedere solo la notte ma, alzando gli occhi al cielo, possa continuare a ricevere da te il bene".
Con queste parole il vescovo di Battipaglia, monsignor Domenico Battaglia, ha accompagnato il piccolo Samuele durante le esequie. Sono parole di dolcezza, perché davvero serve un surplus di dolcezza e di attenzione quando a morire è un bambino di 4 anni, e ancora di più quando muore in circostanze poco chiare e ai genitori non restano parole.
La dinamica della morte è quella di una caduta dal balcone di casa, il dramma nel dramma è quello che sembrerebbe implicato un uomo in cui la famiglia ha sempre riposto fiducia, quello che manca infatti è il movente di un gesto orrendo: Mariano Cannio - questo il nome del 38enne che faceva il domestico per i Gargiulo da diversi anni - avrebbe preso in braccio il bambino e poi (senza apparente motivo) lo avrebbe lasciato cadere dal balcone omettendo alla famiglia i problemi di schizofrenia che lo affliggono da tempo.
Tralasciando per un momento le questioni dell'indagine, di nuovo emerge il voyeurismo della rete: prima un vecchio video (di almeno due anni) in cui il piccolo Samuele parla da solo alla telecamera che sembra aver appena acceso. Si sente la sua voce: «Io ti butto… Tu sei una lota» (Open) e che in maniera del tutto erronea era stato fatto girare collegandolo ai tragici fatti del 17 settembre. A questo si aggiungono i curiosi che arrivano davanti casa, scattano foto, al piccolo altare che spontaneamente si è formato e su cui la famiglia ha apposto un cartello esplicativo: «non fare pellegrinaggi e sciacallaggio». La madre di Samuele ha poi lanciato un appello, chiede "pietà": «Per piacere non pubblicate più fotografie di mio figlio, né video» (Messaggero). Un appello che appare frutto di una doppia disperazione, quella di aver perso un figlio (mentre è all'ottavo mese di un altro) e quello di sapere che le immagini relative alla sua morte sono oggetto di sguardi morbosi.