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La meditazione, una fede surrogata?

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Laurent Ottavi - pubblicato il 22/09/21
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La moda attuale per la meditazione è al contempo una ragione di rallegrarsi e un motivo di inquietudine, tanto essa può assumere una forma narcisistica. In “Pourquoi la méditation ne suffit pas” [“Perché la meditazione non basta” N.d.T.], il teologo Bernard Minvielle mostra che la meditazione deve aprirsi alla preghiera per costituire una vera liberazione interiore.

Abbiamo intervistato l’autore di un recente saggio, comparso per i tipi del Cerf, sulla meditazione: “Perché la meditazione non basta” (attualmente non edito in italiano), del teologi Bernard Minvielle, illustra le potenzialità della pratica e i rischi di una sua involuzione. 

Bernard Minvielle: Da una dozzina di anni insegno storia della spiritualità a studenti in Teologia. Ho così la fortuna di poter scoprire sempre meglio le ricchezze di questo tesoro, che resta per me fonte di stupore e di gioia. Ma che tristezza, pure, constatare che il nostro patrimonio comune è tanto poco conosciuto! Vada nelle grandi librerie a percorra gli scaffali dedicati alla spiritualità. I maestri orientali o i Quattro accordi toltechi oscurano Francesco di Sales, Benedetto da Norcia o Ignazio di Loyola. 

Ho soppesato quindi l’importanza della meditazione e sono entrato in dialogo con lei e con i suoi grandi autori. Volevo unirmi ai suoi praticanti, rispondere alle loro prevenzioni nei riguardi del cristianesimo e, soprattutto, lasciar parlare gli affascinantissimi mistici cristiani. Sono essi i migliori testimoni e gli avvocati più credibili dell’incontro con Dio, il Vivente. Sognavo un libro accessibile a tutti, anche a chi non abbia cultura cristiana, ma che conduca al cuore dell’esperienza cristiana. 

Diversi elementi giocano a suo favore. Per le sue origini, la meditazione è una pratica buddista secolarizzata. Essa evoca così uno stile di vita zen che da una parte è rilassante e dall’altra non ha costrizioni dogmatiche o di morale. Una cosa che si porta benissimo oggidì. La meditazione beneficia poi di una larga cauzione scientifica. Essa è facilmente presentata come una pratica benefica per la salute psichica. Soprattutto, essa ottiene buoni risultati nella riduzione dell’angoscia o nel riequilibrare vite troppo stressate. 

Può capitare, certo, che la si pratichi con questo spirito, anche se i maestri della meditazione invitano a maggiori gratuità e altruismo. L’individualismo generalizzato della cultura occidentale inquina anche questa, come molte altre attività. Io credo che però la si possa guardare anche con simpatia e grande interesse. 

Per molti aspetti, essa è una reazione che dice un sintomo di vitalità riguardo alle nostre carenze in fatto di silenzio, lentezza e vita interiore, una reazione di fronte all’invasione degli schermi e del consumismo. Insomma, un rifiuto di orizzonti troppo superficiali o di esistenze troppo spesso in “modalità pilota automatico”. La meditazione insegna a fermarsi e ad essere pienamente presenti in ogni istante della propria esistenza, nel proprio ambiente e con le persone. A questo titolo, essa non è incompatibile con una vita autenticamente cristiana e può aiutare a ritrovare un migliore equilibrio umano. 

In molti dei nostri contemporanei, sguarniti di fede e sprovvisti di cultura religiosa, essa tende così a diventare una spiritualità surrogata, ed esprime in parecchi casi una ricerca spirituale che non dice il proprio nome. 

Sì, certamente! Ma ci vedo anzitutto una provocazione, un appello silenzioso rivolto a noi, a noi credenti. Non è normale che agli occhi di molti il silenzio, la meditazione, il digiuno, il raccoglimento evochino più i bonzi buddisti che l’immenso patrimonio spirituale della Chiesa. Spetta a noi farlo conoscere e prima ancora viverlo in modo da mostrarlo nella sua attrattività. 

Nell’uno come nell’altro caso, l’uomo si ferma, si siede, fa silenzio, scende in sé stesso e si tiene presente a quel che c’è là. La meditazione può diventare così un passo che introduce alla preghiera. Christophe André, uno degli autori-faro della meditazione, lo dice apertamente. 

Tra meditazione e preghiera, dunque, non c’è opposizione, ma la prospettiva, l’azione, le intenzioni differiscono totalmente. Se entrambe sollecitano la nostra interiorità, la preghiera vi scopre la presenza dell’Ospite interiore; essa diventa allora relazione, conversazione, comunione. Essa acconsente radicalmente all’alterità e ci fa uscire da noi stessi. Del resto, quale incontro e quale amore possono darsi a prescindere da questo preliminare? 

Un primo motivo è la mia prossimità personale a loro. Ci sono però anche delle ragioni più obiettive. Anzitutto la loro diversità, che concorre alla loro universalità: Teresa d’Avila e Giovanni della Corse costo degli spagnoli del XVI secolo; Teresa di Gesù Bambino e padre Marie-Eugène sono francesi, Edith Stein è tedesca, ebrea e filosofa; tutti e tre ci sono relativamente prossimi nel tempo. Il loro quintetto suona la medesima armonia, ma con accenti molto complementari. 

Il loro insegnamento e la loro testimonianza si adattano sia al neofita sia al progredito. Come è sempre per l’Evangelo, i loro insegnamenti vanno al cuore delle cose senza stordirci con istruzioni complicate o discussioni di scuola. Sono grandi pedagoghi che sanno accompagnare la crescita di ciascuno con pazienza e fiducia. Soprattutto, hanno scoperto fino a che punto Dio li amasse, prima di diventarne degli amanti contagiosi. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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