Che la battaglia di Nailantei Leng’ete (Nice) non sia solo per l'Africa ce lo conferma una recente notizia di cronaca che viene da Piacenza.
Due bambine, figlie di migranti, sono tornate dalle vacanze nel paese di origine dei genitori infibulate.
Questa è solo l'ultima (e purtroppo temo non ultima) storia di minori portate all'estero dal nostro paese per subire mutilazioni dei genitali vietate in Italia.
L'infibulazione, pratica a cui sono sottoposte le donne soprattutto originarie di Egitto, Somalia, Corno d’Africa, Yemen, Guinea, Mali, sud est asiatico e Nigeria, è vietata e punita dal codice penale del nostro paese con reclusione da quattro a dodici anni grazie a una legge del 2006. Questo anche se il reato è commesso all'estero.
Il padre delle due bambine è stato arrestato mentre pare sia stata proprio la mamma delle piccole a denunciarlo. La procura indaga per capire se la donna fosse già a conoscenza delle intenzioni del marito prima della partenza (fonte skytg24).
Di certo una magra consolazione dopo la violenza subita, ma comunque un importante segnale che ci dice che qualcosa sta cambiando. E il cambiamento sta partendo proprio dalle stesse donne.
Ecco perché è ancora più importante l'attività di sensibilizzazione di ragazze come Nice.
Orfana masai, Nice viene da un villaggio al confine tra Kenya e Tanzania dove la pratica dell'infibulazione è segno di appartenenza e inclusione nella comunità stessa. Ecco perché, dopo essere stata aiutata dalla sorella a scappare per non sottoporsi alla mutilazione dei genitali a nove anni, per lei inizia una vita da vera reietta.
Emarginata per quella sua volontà di non sottomettersi a una pratica non solo barbara nel suo intento psicologico di sottomissione e riduzione della donna a oggetto, ma anche dolorosa. Soprattutto se si pensa che nel corso della loro vita le donne o meglio bambine, dato che si comincia dagli otto giorni di vita, possono essere sottoposte a più infibulazioni (spesso "il taglio" che restringe il canale urinario va riaperto, ad esempio, per facilitare il parto) o se si considerano i rischi per la salute: infezioni continue delle vie urinarie, rapporti sessuali dolorosi per non parlare delle tante che muoiono nell'intervento.
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Nice non si arrende: è convinta, come scrive su Instagram, che sia necessario cambiare questa cultura da dentro. Così comincia la sua rivoluzione. Quella che la porterà tra le cento donne più influenti al mondo secondo il Times e ad essere ambasciatrice mondiale di Amref Health Africa contro le mutilazioni genitali femminili.
Oggi, la sua storia di bambina e donna coraggiosa è raccontata in un libro edito Piemme: "Sangue. La storia della ragazza masai che lotta contro le infibulazioni".
Quella storia ha salvato dal taglio quasi ventimila ragazze, si legge su Vanity Fair. Meno le due bambine di Piacenza.
Ecco perché non possiamo fermarci nel denunciare e far conoscere che c'è un'altra possibilità. Anche un "A Nice Place": un luogo sicuro dove poter scappare che Nice sta creando per dare a queste donne e bambine il conforto e il sostegno che a lei è mancato nel dire "no" a infibulazioni e matrimoni forzati.
La consapevolezza del proprio valore e dei propri diritti, primo di tutti quello di essere rispettate come persone e non merci da matrimonio, è il primo passo:
I dati parlano chiaro: quella contro le mutilazioni genitali è una battaglia ancora da vincere. Save The Children parla di duecento milioni di vittime di questa pratica.
La stessa Amref
Il sogno di libertà di Nice per tutte le donne deve essere anche il nostro. Perché prendersi cura dell'infanzia e dei diritti calpestati a qualunque latitudine non sia solo una questione di paese o di etnia di appartenenza.
La storia delle bambine di Piacenza ci dimostra che anche in mezzo alla così detta "civiltà", lontani dalle tribù, è sempre sulle persone e sui valori che si portano dentro, che non bisogna smettere di lavorare.