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Cosa può accadere in un mondo in cui si oppone la maternità alla libertà?

WOMAN, WORKER, CHILD
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Annalisa Teggi - pubblicato il 21/09/21
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La giornalista Ritanna Armeni ribalta la retorica legata al gelo demografico. Molte giovani donne oggi non fanno figli perché vedono la maternità come antagonista della loro libertà (e non si fa nulla per dimostrare che è vero il contrario).

Gelo demografico e denatalità, ritornelli amarissimi e ripetuti a suon di retorica nei mezzi di comunicazione. La giornalista Ritanna Armeni, ospite a Il tempo delle donne, ha osato un giudizio che fa un passo oltre la litania del 'non ci sono le condizioni economiche e sociali per mettere al mondo dei figli'.

La crisi economica è solo parte di questo gelo di nascite, un altro fronte davvero ghiacciato è quello di un tempo (il nostro) che paga lo scotto di aver gridato, fino allo sfinimento, che la donna deve essere libera. E 'libera' si è ridotto a significare 'artefice di un destino di cui è la sola protagonista'.

SMUTEK

Andava detto. E non tanto per contestare e puntare il dito contro questa idea di libertà femminile (riduttiva, sia permesso dire). La signora Armeni si concede un lusso raro di quest'epoca, quello di registrare fatti con onestà, facendoli parlare senza avere la preoccupazione di incasellarli subito come giusti o sbagliati rispetto ai propri princìpi personali. La fretta di dare un giudizio spesso ci toglie il tempo di prendere il respiro e stare in compagnia di fatti che, anche scomodi, ci sono.

C'è questa voce femminile che ha imparato la lezione dal seme piantato, e poi sparso senza lesinare, sull'emancipazione femminile, sulle battaglie di libertà e diritti. Oltre ad aver insegnato alle ragazze a essere (presunte) padrone del loro corpo, molto è stato seminato affinché il tema della libertà si riducesse a fare tabula rasa di legami e a essere un serbatoio di rivendizioni personali (egocentrate). E' vero, oggi paghiamo il fio di aver progressivamente insinuato nella sensibilità comune l'idea che essere madri è faticoso, molto spesso è difficilmente compatibile con il lavoro, e dunque è l'antitesi della libertà.

Questo la Armeni metteva nero su bianco in un pezzo uscito sul Foglio lo scorso maggio, intitolato I figli che non vogliamo.

Ormai il passato prossimo e remoto sono stati etichettati con chiarezza e (quasi) senza possibilità di appello: una società prettamente patriarcale ha relegato la donna a una condizione di sottomissione, riducendola a essere solo tutto quel coacervo di stereotipi contenuto nell'immagine dell'angelo del focolare. E bla bla bla.

Questa lettura imperante dei fatti pesa sulle nuove generazioni. Inevitabilmente, una ragazza che mette a tema il proprio futuro si trova oggi a fare i conti con la paura che se diventerà madre, questo la costringerà a fare i conti con una serie di rinunce, fatiche e sconfitte. Maternità e lavoro sono opposti coi toni più disperanti possibili. Le nostre madri sono rimaste fregate.

E anziché impastare le mani con la realtà, spendendosi per ipotesi che tengano conto delle verissime obiezioni che pesano sul tema del lavoro femminile ma anche della naturale vocazione al materno, facciamo i conti con ragazze che sono molto consapevoli e voltano le spalle alla maternità per non privarsi di una felicità che è stato insegnato loro a impostare su criteri sempre più singolari.

MUM, HUG, CHILD

Questo è il punto. Ma è davvero così? La lettura della signora Armeni, che trovo lucidissima per tutto il resto della linea, qui mi trova perplessa. O meglio, suggerisce uno spazio di opera e testimonianza. Le nostre madri sono state davvero fregate? Maternità è il contrario di libertà? Non dovrebbe proprio essere la voce femminile quella che mette in campo un'ipotesi di libertà che contempla e fiorisce proprio perché non esclude il sacrificio?

C'è sempre un salto di qualità quando si passa dalla teoria alla testimonianza. Se è doveroso mettere a fuoco un ideale (e non un'ideologia), la cosa migliore che poi possiamo metterci a fare è essere testimoni di un ideale con la nostra presenza. E va molto bene che questa presenza sia imperfetta, ricca di inciampi, un quadro tutt'altro che idillico. Molto idillico e falso è l'abbaglio per cui libertà sia sinomino di 'liberarsi di tutto quello che è d'inciampo alla realizzazione di sé'. Non c'è persona più libera di un innamorato, proprio perché vuole essere legato a qualcuno.

E ho perciò ascoltato con grande ammirazione il racconto personale che Ritanna Armeni ha fatto della sua maternità come ospite de Il tempo delle donne. Si può senz'altro dire che il suo percorso sia stato opposto alle sue 'amiche' e giovani donne che non vogliono più fare figli:

PREGNANCY

Ha ragione. Di questi tempi c'è da scusarsi a usare la parola naturale. Ma andiamo avanti, il bello arriva ora.

Il legame, rendere conto a qualcuno, ci libera davvero. Ci apre gli occhi su mille altre schiavitù che sono davvero vincolanti e parecchio invisibili. Moltissime tra noi si sono rese conto di quanta falsa retorica sull'efficienza circoli in giro negli ambienti di lavoro diventando madri. Di cosa non voglio più essere schiava? Questa è la domanda che si pone una madre lavoratrice (e la società è ancora ben lontana a darle una risposta). La maternità non è la vocazione necessaria di tutte, chiaro. Ma smettiamola di dire che il sacrificio delle madri è schiavitù.

Sacrificio e dedizione e cura sono certo capaci di accompagnarsi a uno sfinimento emotivo e fisico pesante. Ma è così che nascono i migliori , quelli che passano il setaccio di una volotà affettiva all'opera e non solo quello delle nostre voglie e ambizioni.

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