«Ha scalato il Cervino» non è una giustificazione che molti genitori useranno nel libretto delle assenze dei figli, ma la mamma di Federico Tomasi ha dovuto proprio scrivere così. Federico è mancato da scuola i primi due giorni, frequenta la seconda media in Piemonte e ha compiuto un'impresa storica. Nell'attuale panorama desolante di psico-pandemia (paghiamo le conseguenze emotive del dramma sanitario) i nostri giovani sono tra i più feriti, si buttano giù fino al punto estremo di togliersi la vita. Ma - non dimentichiamolo - hanno scritto nel cuore il desiderio di salire fino al cielo.
La mattina del 14 settembre Federico Tomasi, 11 anni di Beinasco (Torino), ha messo lo zaino in spalle e si è accinto a scalare il monte Cervino. La scelta di fare questa scalata proprio nei giorni che coincidevano con la ripresa dell'anno scolastico è stata prevalentemente tecnica e dettata dal meteo. Le condizioni atmosferiche per le giornate del 14 e 15 settembre erano ideali per mettere a frutto un'impresa a cui Federico ha dedicato un anno di preparazione.
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Lo ha accompagnato nell'ascesa a quota 4478 metri una guida esperta, l'alpinista Matteo Faletti. In quattro ore sono arrivati in vetta, mentre la mamma e il papà di Federico guardavano la montagna dal basso e a testa insù.
Li riempiamo di discorsi sul valore dell'impegno, sul buono che nasce dal fare fatica, sul non ripiegare in scelte al ribasso. E restano sempre parole campate per aria, quelle di noi genitori ai figli. La narrazione comune, verisimile ma riduttiva, vede i giovani a testa bassa su qualche schermo, immobili e assuefatti al virtuale.
Hanno smesso di essere entusiasti? Si è spento il desiderio di fare grandi cose? Perché continuano a guardare in basso? C'è senz'altro una tendenza a chiudersi in un comodo letargo fatto di intrattenimento passivo, ma non è normale. Non lo è neanche se diventa una brutta abitudine.
Di un giovane in gamba si è soliti dire che è sveglio. E a tutti noi è capitato di destarci prima del trillo della sveglia quando il mattino portava in dote qualcosa di bello. Essere svegli significa essere pronti a dire sì a qualcosa. Ci sono, eccomi.
Il giovanissimo Federico Tomasi ha dovuto fare una levataccia per mettersi a scalare il Cervino.
Nella fatica che Federico ha accettato mettendo i piedi giù dal letto prima del sorgere del sole, e con la prospettiva di un cammino tosto, c'è la sintesi di un vero buongiorno. C'era un anno e più di allenamento per preparsi all'evento di quella mattina. E ogni vero entusiasmo non s'improvvisa, il buongiorno non è spontaneo neanche quando splende il sole.
Perché dovrei mettere i piedi giù dal letto anche oggi? - ci chiede il fare un po' distratto e pigro dei nostri figli. E forse, nell'ansia di offrire loro una carezza che renda facile la lettura della realtà, ci rifugiamo in risposte dolci, eufemistiche, quei vaghi 'vedrai che ne vale la pena'. Magari invece non aspettano altro che sentirsi dire la verità: ti aspetta una scalata, una salita da fiatone, un'impresa in cui ogni tuo muscolo dovrà dare il suo contributo.
Questa non è solo la storia di un ragazzino dal talento in fiore per l'alpinismo. E' anche la storia di due genitori che hanno guardato la salita del proprio figlio, lo hanno seguito da lontano sapendo che si trattava di un'impresa rischiosa. Fabio Tomasi, papà di Federico, ha scritto un ringraziamento al figlio dopo la conquista della vetta:
Federico avrà saltato due giorni di scuola, ma non è il solo ad aver imparato molto nella salita sul Cervino.
Il giovane ragazzo ha visto cosa significa seguire una guida, stare al passo di uno che ci porta alla meta. Non è brutto e noioso, non inibisce il coraggio e la forza.
Stare al passo di un alpinista esperto è forse più entusiasmante del seguire le lezioni di grammatica o aritmetica, ma in fondo è la stessa cosa. Se un insegnante risponde alla vera chiamata del suo mestiere, è in fondo uno scalatore che mostra la via verso la cima. Quale vetta? L'avventura di rispondere alla domanda: "Chi sono?".
E arriva il momento in cui i genitori restano al campo base. "La notte più lunga della mia vita". Come non capire il papà di Federico. La nostra scuola di madri e padri è ancora aperta e siamo dei frequentanti, soprattutto del corso Lasciali andare. Affidarli ad altri occhi e ad altre voci, lasciare che si aggrappino a qualcuno che non siamo noi. Mettere in conto le cadute.
La montagna ci offrirebbe metafore a non finire sul tema. E non potrebbe essere diversamente, perché - notò il buon Dante - l'essere umano è l'unica creatura che partecipa della terra e del cielo. Siamo corpo e spirito, abbiamo i piedi per terra ma siamo destinati al cielo, la scalata è la chiamata che qualcuno ha scritto per noi.