Lunedì mattina, 13 settembre 2021; i nostri newsfeed si affollano di foto di bambini e ragazzi vestiti di tutto punto, zaino in spalla - sopra i 12 sempre e rigorosamente una sola - per il tanto desiderato, temuto e per qualcuno un po' schifato, come al solito, rientro a scuola. Frasi un po' stucchevoli o qualche battuta le didascalie, seguono scie di cuori nei commenti.
Sui social si rincorrono anche gustose photo gallery che mettono a confronto il prima e il dopo sempre il fatidico primo giorno: bambini ben vestiti e ordinati, le femmine non di rado con pettinature curatissime, che si risolvono poi in un "after" di ciuffi ribelli, camicie stropicciate, zaini schiacciati da chi addirittura ci si accascia sopra, stravolto dalla stanchezza e forse dal pieno di emozioni accumulate in una sola giornata.
Purtroppo però la cronaca ci ha raggiunti con una sequenza di tragiche notizie che hanno riguardato proprio degli studenti, dalle medie ai primissimi anni delle superiori, che hanno voluto che il primo di giorno di scuola fosse il loro ultimo sulla terra. Due suicidi e un tentato suicidio, due femmine e un maschio. L'unica ancora in vita la più giovane; tutti e tre hanno scelto (hanno davvero scelto?) di gettarsi nel vuoto. Tutti e tre gli episodi sono avvenuti a all'interno dell'area metropolitana di Milano.
La prima delle vittime è una ragazza di 15 anni che si è gettata dal settimo piano del palazzo dove abitava, nel comune di Bollate, ed è morta sul colpo. Nel pomeriggio un ragazzino della stessa età si è gettato dal dodicesimo piano, in zona Comasina: anche per lui l'esito è stato immediato e fatale.
Sempre la mattina invece, una bambina di soli 12 anni si è lanciata dal quarto piano; erano le 8 circa e un vicino di casa l'ha vista lanciarsi dalla finestra. Siamo in zona Cenisio.
Anche se nelle prime ore si è scritto che i casi sembrano non avere correlazione tra loro, su di essi stanno indagando polizia di Stato e carabinieri; per la morte del giovane ragazzo di origini cinesi è stato aperto un fascicolo a carico di ignoti per istigazione al suicidio.
Lo zio del giovane ha ritrovato nel cestino della spazzatura un biglietto che ripoterebbe le seguenti parole:
In attesa che si chiariscano cause e responsabilità ciò che resta, purtroppo, è la tragedia irreparabile di due vite perse e di una in gravissimo pericolo.
E' appena trascorsa la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, fissata il 10 settembre. Ogni anno viene approfondito e messo in evidenza un tema ma tutte le iniziative convergono ad un solo scopo: diffondere il più possibile la consapevolezza che la morte per suicidio si possa prevenire.
E' vero, è così; perché si ha a che fare con l'essere umano e le sue pressoché infinite possibilità; con la sua libera volontà che sempre, anche quando la malattia o l'angoscia l'hanno stretta in una morsa asfissiante, mantiene un minimo spazio di ripresa, di libertà da esercitare.
Questa è la sua drammatica potenzialità: la capacità di dire sì o no di fronte alla vita, in qualsiasi condizione ci si trovi a viverla.
Ma chi arriva a compiere un atto tanto estremo è giunto proprio alla convinzione che l'unica possibilità rimasta per provare sollievo e sottrarsi ad un peso divenuto insopportabile sia quella di strapparsi via dalla vita stessa. Ciò che accade nel cuore di ognuno di noi è mistero dei più fitti, accessibile solo al Creatore, che è verità e misericordia.
Questi giovani che hanno compiuto un gesto così estremo sono tre vite uniche, irripetibili; ognuno con una storia particolare, vissuti, relazioni, errori, desideri, peccati e atti d'amore. Prima di affrettarci ad associarli in un unico fenomeno e forse anche al comune condizionamento di sfide incontrate in rete, conviene fermarsi davanti al mistero che sono, al valore che portavano in sé e che tutti abbiamo perduto.
Compiuto questo atto, però, è anche necessario fare un passo indietro e considerare la tendenza, innegabile, di un crescente malessere proprio tra i più giovani e persino i più piccoli.
Ancora in piena fase acuta non solo della pandemia, ma anche delle misure di contenimento più severe, istituti ospedalieri e osservatori avevano lanciato un serio allarme: i ragazzi e i bambini soffrono. Soffrono in tanti e più di prima.
Ecco il quadro che ci veniva mostrato dall'Ospedale Bambine Gesù:
Nello stesso articolo la collega Silvia Lucchetti riportava le modalità utilizzate dagli adolescenti per infliggersi dolore o togliersi la vita e notava già, con le autorevoli parole del prof. Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza come queste tendessero ad emulare ciò che i ragazzi incontrano in rete. Perché tutto ciò che si incontra, di fatto, educa.
Siamo nell'ambito del comportamento umano che è di sicuro un fenomeno complesso e articolato, ma chi lo osserva da vicino e ne conosce le dinamiche sa anche quali fattori possano incidere negativamente sul benessere psicologico dei bambini.
Il costo emotivo e sociale imposto dalle restrizioni è pesato su tutti, ma in maniera particolarmente greve sui più giovani che anche in termini di "metabolismo relazionale" hanno un fabbisogno fisiologico maggiore: di incontri, relazioni e presenza hanno sempre fame; devono formarsi l'ossatura della propria personalità, non si tratta di mantenimento, come per gli adulti. Ne hanno bisogno e ne sono anche più facilmente spaventati.
Il rientro a scuola dopo lunghi mesi di misure restrittive e depressive può avere significato per tanti di loro motivo di ansia, di aspettative ritenute eccessive, di desiderio di ricominciare misto alla paura di essere ancora meno in grado di gestire il carico di sfide che ogni contesto sociale comporta.
Di più ancora quando si è piccoli o adolescenti. Ancora di più se si è già fragili, per storia, fase di crescita che si sta attraversando, disagio.
Ora, chi tra noi genitori, non trema al solo pensiero che il proprio figlio sia colpito troppo duramente dalla vita o che si ritenga incapace di far fronte a qualche ostacolo o che non riesca a manifestarci i suoi bisogni e la sua sete di comprensione?
Di noi stessi forse non lo ricordiamo più, ma nei nostri figli si vede a vista d'occhio: vogliono capire il senso delle cose, bramano una vita piena, chiedono cose ma si saziano solo coi perché e gli ideali all'altezza della loro dignità.
Sui 4.000 suicidi l’anno registrati nel nostro paese, riferiva l' ISTAT a gennaio 2021, oltre il 5% è compiuto da ragazzi sotto i 24 anni.
Sono tanti, troppi. Cosa stiamo facendo per loro?
Intervistato su Il Giorno così commenta Ciro Cascone, procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Alla riapertura delle scuole per molti la prospettiva pur allettante e desiderata di ritorno alla normalità può essere sembrata una sfida troppo ardua.
Condivisibile l'analisi dal punto di osservazione tragicamente privilegiato del procuratore però no, il tempo non è mai buttato. Persino le giornate in cui ci sembra di non concludere niente possono diventare un punto colorato, decisivo per l'insieme nell'arazzo di un'esistenza. Ma per scoprirlo bisogna educati a farlo.
Anche questa è responsabilità degli adulti che, come osserva Cascone, devono ristabilire un'alleanza educativa a tutti i livelli in favore dei figli: qualsiasi esperienza, ogni condizione, persino quelle più deprivanti, possono essere occasione di crescita.
Su ogni evento ed esperienza abbiamo la libertà di esprimere un giudizio, guidato quando si è piccoli!, e possiamo decidere che cosa farcene. Serve, precisamente, un condiviso pregiudizio positivo sulle possibilità che ogni vita porta in sé; no, non di successo, di riuscita produttivamente intesa ma di bellezza, realizzazione di sé, costruzione di relazioni significative, esercizio di senso.
Abbiamo ripetuto troppo spesso, anche da tv e media in genere, che i ragazzi stavano perdendo un anno ed è stata una colpevole, grossolana generalizzazione. Abbiamo anche detto loro che dovevano sacrificarsi per gli anziani e, spesso, non abbiamo dato voce e soprattutto ascolto alle loro paure e difficoltà, salvo farne poi serie, documentari, personaggi dai tratti forti.
(Sì, ce l'ho con la serie Sky dall'infelicissimo titolo "Ragazzi interrotti", che peraltro fa il verso al titolo di una pellicola dedicata proprio alla malattia mentale).
Prima di essere ridotti a diagnosi o, peggio, ad autopsie, i ragazzi hanno bisogno di essere presi sul serio, come titolari a pieno diritto di esistenze preziose, già cariche di tutto il senso che spetta loro, già necessarie al bene di tutti e non semplicemente propedeutiche alla forza lavoro (e di sostegno del welfare) che dovrebbero diventare domani per mantenere chi nel frattempo sarà invecchiato e divenuto improduttivo.
La via di salvezza resta sempre un filo di infinito che passa dalla cruna del presente momento presente.
Per questo, anche davanti al dolore insopportabile di queste vite finite distrutte sull'asfalto, quello che bisogna sperare è che il tempo del loro ultimo volo sia stato impiegato come muto grido di aiuto al Cielo: "Salvami!"; persino se è stato un grugnito di rabbia, un urlo di disperazione che si è risolto in domanda, all'ultimo istante, impercettibile per noi, più che sufficiente per il Sovrano di ogni anima.
Per questo, per chi resta, resta lo strazio ma resta anche la preghiera e, soprattutto la inderogabile responsabilità di farsi carico davvero di questi figli, nostri e altrui. Di comunicare loro, non necessariamente a parole, che sì, la vita val la pena (e che pena, a volte!) di essere vissuta: