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Dio si nascose ad Auschwitz in un rosario fatto di pane

RÓŻANIEC Z CHLEBA
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Annalisa Teggi - pubblicato il 07/09/21
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Privarsi del pochissimo cibo per nutrirsi di Dio: tra gli oggetti ancora custoditi nel museo di Auschwitz c'è un rosario di pane, fatto da una giovane detenuta e pianista polacca, Franciszka Studzińska.

Dov'era Dio? È la domanda che abbiamo sentito pronunciare tante volte di fronte all'orrore dei campi di concentramento. Ed è lo stesso interrogativo che nasce di fronte ad ogni esperienza di male che ci si para davanti. Può restare un mistero in cui la vista umana sprofonda, senza risposte filosoficamente risolutive.

Non sappiamo rispondere a tavolino agli interrogativi su Dio e il male, ma ci sono testimonianze di uomini e donne che portano scritto: Dio era con me nell'ora più buia della mia vita. Ed è questo l'orizzonte umano che ci sfida. Vorremmo un Dio che spazza via ogni briciola di male e dolore, siamo in compagnia di un Dio che resta e sta con noi in ogni abisso o angolo di orrore.

Pochi giorni fa il Corriere ha intervistato Jadwiga Pinderska Lech che è la presidente della Fondazione vittime di Auschwitz-Birkenau ed è anche responsabile della casa editrice del Museo statale di Auschwitz-Birkenau. Il suo «posto di lavoro» è proprio dentro il campo di concentramento in cui sono state contate 1,1 milioni di vittime. L'ufficio in cui svolge il compito di preservare la memoria dell'Olocausto fu quello in cui lavorò Eduard Wirths, medico capo del lager, il superiore di Josef Mengele. E' una stanza che si affaccia sull'unica camera a gas rimasta.

Non c'è margine per molti discorsi astratti o sentimentali. Le parole di questa donna che vive ad Auschwitz, e si trova anche ad accompagnare turisti che scambiano quel posto per un'attrazione dove scattarsi un mucchio di selfie, sono piene di volti, oggetti, dati.

Alla domanda su quale sia il ricordo dei sopravvissuti che l'ha turbata di più risponde:

AUSCHWITZ

Forse abbiamo sentito storie più tremende, ma non sono solo i dettagli scandalosamente macabri a far esplodere l'orrore. Il velo del buio di una malvagia indifferenza cala senza pietà di fronte alla cura innocente di una bambina che cade per un colpo di pistola esploso senza rimorso.

Allora, come la mettiamo con Dio? E' la domanda che il giornalista fa a bruciapelo alla signora Lech, dopo l'aneddotto straziante della bimba uccisa. E lei non si perde in astrazioni, ancora una volta ha un oggetto, una presenza, da mostrare e non delle ipotesi.

C'è da restare in silenzio a contemplare quest'immagine, una manifattura rudimentale ma molto precisa. Togliersi il pane di bocca è un modo di dire che usiamo per raccontare il sacrificio di chi rinuncia al cibo per darlo a qualcun altro. Ma qui qualcuno - di molto affamato - si è tolto il pane di bocca, lo ha masticato e poi sputato, per farne un oggetto inutile. Chi è così folle, o santo, da osare scommettere tutto sulla preghiera in un luogo che ha tolto all'umano ogni dignità?

Chi mangia questo pane vivrà in eterno. Il rosario di pane realizzato di nascosto ad Auschwitz è stato fatto da qualcuno che ha sentito sulla sua pelle la compagnia delle parole pronunciate da Gesù. Patendo la fame fisica c'è da immaginare che abbia sentito i morsi di una fame ancora più grande, quella di vincere la tentazione di disperare, disumanizzarsi. Interrompo qui le ipotesi e i ragionamenti, perché dietro quel rosario c'è solo una storia molto semplice. Le testimonianze sono essenzialmente presenze che dicono il loro al bene, come possono e dove è chiesto loro di farlo.

Franciszka Studzińska era una studentessa universitaria di Cracovia, era anche una pianista. Fu arrestata nel 1942 perché trasporava e consegnava documenti di nascosto al regime nazista. Arrivò ad Auschwitz il 1 dicembre del 1942 e morì lì il 4 aprile del 1943. Il suo nome fa parte del gruppo di vittime che i nazisti uccisero non per motivi razziali (non era ebrea) ma perché si opposero al regime. Tutto qui. Questo è ciò che si sa di lei, oltre al fatto che fabbricò quel rosario di pane. Resta anche la foto che le fecero nel campo di concentramento, corredata del numero 26283.

Tutto qui, sì e nel migliore senso della frase. Tutto è qui anche nel niente a cui può essere ridotto un essere umano. Non manco di nulla, dice il Salmo. E noi lo recitiamo quasi soprappensiero. Quella di Franciszka è una storia invisibile che contiene tutto il mistero cristiano: insignificante agli occhi della grande Storia, un niente da schiacciare agli occhi dei suoi carnefici, e una voce capace di fare memoria con poche briciole che ciascuno di noi è tutto agli occhi di suo Padre. Non manco di nulla solo mio Padre è qui con me.

Quante grandi testimonianze di bene escono da Auschwitz? Può sembrare azzardato pronunciare una frase del genere. Non significa sminuire di una virgola l'orrore. Eppure desta stupore anche solo fare una piccolissima osservazione cronologica.

Massimiliano Kolbe entrò ad Auschwitz il 28 maggio 1941 e morì il 14 agosto del 1941. Edith Stein arrivò in quello stesso campo di concentramento il 7 agosto 1942 e morì due giorni dopo. A dicembre del '42 arrivò Franciszka Studzińska, che morì nell'aprile del '43. Il 7 settembre 1943 fu la data di ingresso di Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel vovembre del 1943. E chissà quanti altri testimoni di Cristo potrebbero aggiungersi alla lista, uomini rimasti nascosti dalla Storia. Piccole voci che hanno balbettato e custodito la promessa della Resurrezione oltre il filo spinato dell'orrore.

Non si conoscevano tra loro, non c'era un progetto scritto a tavolino. Eppure noi ora vediamo questa fila di uomini e donne, una staffetta di luce nel regno del buio. Non portavano con altro che il loro a un'ipotesi di bene incarnato.

E' questa cordata di testimoni la risposta viva di Dio al male, una fila di incursori disarmati che passa oltre le linee nemiche e va a portare il Pane di vita lì dove tutto pare consumato, violato, negato.

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