Il timore di Dio non gode di buona fama da decenni, e rarissimi sono al giorno d’oggi i predicatori che ancora osano menzionarlo, eccezion fatta per l’occasione in cui si ricorda quali sono i doni dello Spirito Santo.
Bisogna dire che, a fronte del timore reverenziale donde promana, il timore di fronte alle maestà istituzionali e naturali ha subito in sé stesso formidabili attacchi e una generalizzata disaffezione – in Francia e non solo almeno dalla Rivoluzione, nella quale erano state abrogate perfino le regole più elementari della buona educazione che reggono i rapporti quotidiani tra gli uomini. Sarebbe il caso di rinsavire, perché temere, nel senso sopra detto, non è sinonimo di paura ma al contrario di amore e di rispetto.
Alcuni tra noi si ricordano almeno di un testo di Blaise Pascal, che anche il laicissimo e repubblicano manuale scolastico Lagarde et Michard ha proposto alla riflessione di generazioni di studenti, quello estratto da uno dei Tre discorsi sulla condizione dei grandi, appunto, che tratta delle maestà che ogni uomo deve riconoscere e rispettare, quale che sia la sua cultura, semplicemente perché così è disposto il nostro essere.
Nel secondo discorso Pascal espose i due tipi di maestà reverende:
Di fatto, Pascal precisò questa distinzione perché nel 1660 aveva rivolto una missiva educativa a uno dei grandi secondo il mondo – il futuro duca di Chevreuse e di Luynes, Charles-Honoré d’Albert – perché non abusasse della sua posizione per esigere onori che non gli erano dovuti. Pascal pone ciascun tipo di grandezza al posto che gli spetta. Riconoscere le grandezze istituzionali è attitudine giusta e necessaria in una società. Queste grandezze sono utili all’equilibrio e all’armonia tra gli esseri, ed esse vengono accordate secondo principî che fanno parte del costume. Esse possono evolvere senza con ciò scomparire, perché ciò causerebbe confusione, anarchia e disordine. Diversamente, esse non dicono alcunché delle grandezze naturali che, da parte loro, sono perpetue e non dipendono dal contratto sociale, anche se possono trovarsi degli esseri in cui i due ordini confluiscano – cosa evidentemente preferibile, quando una persona occupa un posto pubblico di responsabilità.
Così ogni re ha diritto al timore reverenziale che ratifica la sua grandezza istituzionale, ma non tutti i principi possiedono le qualità richieste per essere oggetto di un timore reverenziale che onori la grandezza naturale. San Luigi, ad esempio, combinò le due cose, e fin da quando era in vita, senza attendere la canonizzazione ufficiale. Altri sovrani, invece, non hanno saputo coniugare questi due tipi di maestà, e il loro regno fu meno felice per i loro sudditi.
Vale lo stesso per ogni persona posta in autorità, nella società civile o religiosa, quali che siano i paesi, a tutte le latitudini e in tutte le epoche. Tuttavia bisogna aggiungere un complemento essenziale: queste grandezze non possono essere riconosciute in quanto tali se non in una società che riconosca anche, a da principio, la necessità del timore reverenziale verso Dio, perché questo timore di Dio è il giusto fondamento di tutti gli altri. Se esso non esiste, tutti gli altri timori e tutte le altre grandezze non sono che sottoposte all’arbitrio degli uomini. Ecco perché la nostra epoca è così vulnerabile, perché in uno Stato senza Dio, uno Stato che se va bene relega Dio nel dimenticatoio e se va male torna a crocifiggerLo, le grandezze umane sono fluttuanti come boe, non si ancorano a nulla e sono l’immagine allegorica del mero vento delle volubili e contraddittorie ambizioni.
Ecco perché è essenziale insegnare il timore reverenziale di Dio, per ritrovare pure un senso giusto e degno ai timori reverenziali verso le grandezze istituzionali e naturali. Ci rattrista e ci preoccupa il constatare che le autorità – comprese quelle religiose – si compiacciano nel cancellare e nel trascurare le grandezze istituzionali, perché ciò facendo esse mettono anche in pericolo il riconoscimento delle grandezze naturali, e fanno dimenticare che il timore di Dio è la fonte di tutti i nostri rapporti umani, quando sono pacificati e armoniosi.
Quando si producono delle intemperanze, non è più tempo di lamentarsene, perché esse non sono che la logica conseguenza di un’erosione voluta e accompagnata, mortifera nel lungo termine per la pace tra le persone e i popoli.
Chi non onora più Dio non onorerà più il padre e, prima o poi, non rispetterà più niente e nessuno. Il timore di Dio, il rispetto e l’amore che ci legano a Lui, sono fermenti di unità e ci insegnano il vero rapporto con tutti gli esseri, rispettando una gerarchia fatta di grandezze, legami di parentela e meriti di ciascuno. Il libro dell’Ecclesiastico insegna superbamente:
Quanto dovremmo ripeterci, di continuo, queste sagge parole ispirate dallo Spirito Santo! In un tempo in cui i genitori anziani sono spesso trascurati e in cui i rapporti famigliari sono feriti – anche tra cattolici praticanti – sarebbe cosa buona ritrovare il senso delle grandezze e del timore ad esse associato.
San Tommaso d’Aquino si è ovviamente dedicato a considerare questo timore dalle molteplici sfaccettature. Egli ne definisce quattro, dalla più pura alla più bassa, prescindendo dal timore naturale che si trova anche nei demonî, poiché «essi credono e tremano», come dice san Giacomo nella sua Lettera (2,19):
Il Dottore Angelico precisa:
Sì, i figli temono di offendere il padre terreno, e lo temono perché allo stesso modo non vogliono offendere il Padre celeste. Essi onorano, essi riveriscono le grandezze naturali, essi rispettano le grandezze istituzionali perché nel fondo, radicato nel loro cuore, fiorisce il timore reverenziale di Dio.
Torniamo a familiarizzarci col timore di Dio: ne risulterà per la nostra vita interiore una pace e un abbandono mai percepiti, e per quanto riguarda la nostra vita con gli altri un rispetto che veramente condurrà all’amore del prossimo. Che la grandezza di Dio ci faccia toccare con mano la nostra propria miseria, rialzata dalle ceneri e dal fango per l’amore divino.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]