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I dubbi dell’ultimo cattolico in Afghanistan: “Signore, ti sei addormentato?”

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 01/09/21
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“Sono cattolico, ma a volte la mia fede traballa. Mi sorprendo a chiedermi: “Signore, cosa stai facendo? Guardi giù o ti sei addormentato?”. Se sei in Afghanistan oggi ti vengono dubbi come questi”, dice Alberto Cairo, fisioterapista della Croce rossa, a "Credere"

«Sono cattolico, ma a volte la mia fede traballa. Mi sorprendo a chiedermi: “Signore, cosa stai facendo? Guardi giù o ti sei addormentato?”. Se sei in Afghanistan oggi ti vengono dubbi come questi. Quando è esplosa la bomba all’aeroporto di Kabul, mi sono domandato: “Ma Dio dov’era? Non può dormire tutto il tempo!”». A parlare così è Alberto Cairo, fisioterapista della Croce rossa internazionale, cuneese di origine. 

Dei suoi 69 anni, 31 li ha trascorsi - dopo essersi formato presso “La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini (Lecco) e aver lavorato in Sud Sudan - a servizio dei disabili in Afghanistan (ne ha curati 210 mila). In un’intervista esclusiva a Credere - a firma di Gerolamo Fazzini – in edicola dal 2 settembre, Cairo racconta come vive la drammatica situazione del Paese e come la fede la sostenga nei momenti più bui. 

AFGANISTAN

Dopo la partenza del responsabile della “missio sui iuris”, padre Giovanni Scalese, delle suore di Madre Teresa e delle religiose a servizio della Onlus “Pro bambini di Kabul”, oggi Cairo è uno dei pochissimi cattolici - «forse il solo» - rimasti nel Paese. 

Racconta: «Quando le ambasciate hanno invitato gli stranieri a partire, ho messo un cartello sulla porta “Non parto!” perché tanti si interrogavano sul mio futuro. Assicurare i miei collaboratori che voglio restare dà loro forza». 

AFGANISTAN

La situazione oggi in Afghanistan è tremenda: «Fino a poco fa la gente provava ansia e disperazione - dice l'ultimo cattolico in Afghanistan - Oggi anche orrore. A differenza di 25 anni fa, quando i talebani arrivarono la prima volta, ora la gente è più informata. Si sperava che, col ritorno dei talebani, in cambio della libertà sarebbe stata data almeno la pace. Invece no: i talebani non controllano i terroristi. Quindi moltissimi vogliono scappare, perché nemmeno più la sicurezza è garantita». 

Cairo, che ha passato quasi un terzo della sua vita a servizio del popolo afgano, confessa nell’intervista a Fazzini di provare tantissima tristezza. «Non ho mai visto la gente così disperata. Ho perso una decina di collaboratori che hanno preso la via dell’estero, tra cui alcune ragazze giovani molto preparate. C’è una sfiducia generalizzata. Viviamo un’angoscia infinita». 

Nonostante tutto, Cairo dichiara a Credere che con i talebani il dialogo è l’unica via: «Difficile fare previsioni sul futuro del Paese, ma visto che il loro regime resterà per tanto tempo, c’è da augurarsi che sia meno rigido e più aperto di prima. La comunità internazionale dovrà vigilare che i diritti vengano tutelati. Non solo: tra un po’ l’interesse sul Paese si spegnerà. Diventa fondamentale, quindi, che l’attenzione sull’Afghanistan rimanga viva». 

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