Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di Sanità è credente ma del suo rapporto con la fede parla raramente. Anche per il ruolo che ricopre. Si è trovato a vestire, infatti, i non certo comodi panni di portavoce del Comitato tecnico-scientifico (Cts) dentro la bufera del Covid-19.
«Non amo sbandierarla, ma neppure la nascondo - dice ad Avvenire (22 agosto) - Credo che ognuno di noi nella propria vita sia chiamato a svolgere ruoli, anche impegnativi e talora del tutto impensabili, per i quali cerchiamo di essere pronti e adeguati. È quello che è successo a me: una "chiamata"».
Un secondo concetto chiave, che Brusaferro mette in relazione alla fede, «sono i propri talenti, tanti o pochi: sappiamo di dover mettere ogni sforzo per farli fruttare al meglio, nel mio caso far sì, tra l’altro, che il metodo scientifico supporti le decisioni necessarie. Infine, l’attenzione agli altri: siamo inseriti in una comunità, un valore che dev’essere sempre presente».
Secondo il presidente dell’Istituto superiore di Sanità una delle lezioni della pandemia è che l’organizzazione sociale, come quella sanitaria, debbano tener presente che, in un tempo difficile come quello della pandemia, le relazioni personali sono occasioni preziose di salute. Alla malattia e alla sofferenza, accanto a quella tecnico-scientifica, va data anche una risposta di prossimità».
Una persona fragile, dice Brusaferro, «ha bisogno di una rete di supporti relazionali e sociali. Creare reti di reti di relazione, sviluppare le cure primarie vicino al cittadino, sono forme di prossimità, a partire dal nostro stile di vita».
Una risposta, insomma, alle spinte individualistiche. «La pandemia - conclude - ha moltiplicato e reso evidenti le ricadute negative della solitudine, tema ben presente anche prima del Covid. La rete sociale, la comunità, i servizi di prossimità rinforzano la salute delle persone. C’è un beneficio, già noto, che ora è evidente a tutti».