Avete visto Il generale della Rovere? No?! Peccato, perché si tratta di uno dei capolavori del cinema italiano dell’immediato dopoguerra, che peraltro ricevette subito un importante riconoscimento cinematografico cattolico. Nel 1943, volendo infiltrare la resistenza italiana, i servizi segreti tedeschi sostituirono al vero capo del movimento – il generale della Rovere, abbattuto mentre cercava di atterrare in Italia – un imbroglione mondano uscito di galera, il quale accetta di assumere il ruolo dello scomparso in cambio della promessa di cancellare il suo passato.
Tutto sarebbe andato molto bene, se il preteso generale della Rovere non fosse finito per entrare nei panni del suo personaggio al punto da diventare incapace di tradire i compagni che di lui si erano fidati. Un attore che entra nel suo ruolo al punto da non frapporre più una differenza tra la propria personalità e il personaggio che incarna… la cosa può darsi… ma sapete che capitò anche al santo patrono degli attori, Genesio?
Nel 303 a Nicomedia, capitale imperiale d’Oriente, tutta la corte venne percorsa da un formidabile scandalo: il capo della sicurezza personale di Diocleziano, il tribuno Adriano, a forza di frequentare le prigioni zeppe di cristiani, è diventato tale egli stesso, ed ha confessato Cristo fino alla morte. La faccenda era scomoda e ai piani alti si sarebbe voluto far dimenticare quell’uomo e la sua conversione. Per questo sembrò una buona idea improvvisare una pièce teatrale in cui si metteva in scena Adriano, ma ridicolizzandolo.
Per interpretare il suo ruolo, ci si rivolse al miglior attore d’Oriente, Genesio, interprete di grande talento celebre oltretutto anche per il suo sprezzante odio per le credenze cristiane. La corte sapeva di poter contare su di lui per rimandare di Adriano un’immagine tanto caricaturale che non avrebbe più commosso chicchessia. E Genesio, sapendo ciò che ci si aspettava da lui e conoscendo i gusti del suo pubblico, tenne perfettamente la parte. Adriano, come lo impersonava, non era più il tragico eroe di una magnifica avventura spirituale, ma un grottesco buffone alle prese con situazioni scabrose ovvero oscene. A ogni rappresentazione Genesio faceva il pienone, e il pubblico si spaccava dalle risate.
La scena madre dello spettacolo era la scena del battesimo di Adriano, ridicolizzato a più non posso. Ora, quella sera, dopo la parodia del sacramento Genesio – che di solito si lanciava in un monologo comico – non si rialzava. La testa fra le mani, come in preda a un’indicibile emozione, restava in silenzio, e quando alla fine si rialzò si potè constatare che calde lacrime gli solcavano le guance. Con una voce irriconoscibile e singhiozzando gridò: «Sono cristiano!». Il pubblico credette che si trattasse di una nuova trovata comica, e cominciò a ridere attendendo il seguito, ma non accadde altro. Genesio, sempre in ginocchio, continuava a piangere e ripeteva: «Sono cristiano». Bisognava arrendersi all’evidenza. Come san Paolo sul cammino verso Damasco, l’attore era stato folgorato dalla grazia sul palcoscenico, al punto che si spinse a confessare la fede che stava irridendo.
Chiaramente l’effetto fu quello di uno tsunami, anche per via della celebrità di Genesio. Il cesare Galerio, genero di Diocleziano e suo successore designato, avrebbe regolato il problema a modo suo, per direttissima. Le altre sere, secondo l’uso dei teatri romani (dove lo snuff movie era una realtà) si sostituiva per l’ultima scena – quella del supplizio di Adriano – un vero condannato cristiano: la vedette si eclissava discretamente mentre la sfortunata controfigura moriva in scena tra vere fiamme. Stavolta invece sul rogo a cui avrebbero appiccato il fuoco legarono Genesio, e gli offrirono così il battesimo di sangue.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]