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Le tenebre oscurano la luce: avete mai sentito parlare delle “notti mistiche”?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 23/08/21
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La sensazione di “notte” che accompagna l’esperienza mistica diventa evidente solo quando chi la vive fa un passo indietro da se stesso, quando, come Mosè, “esce dalle tenebre”

Le “notti mistiche” raccontate da chi le ha “attraversate”, tra buio, ansie, inquietudini, e bagliori di luce. Max Huot de Longchamp con Antonino Raspanti ne parlano nel libro Cos’è la mistica” (Città Nuova)

Molti mistici descrivono la loro esperienza come un’alternanza di luce e di tenebre. San Giovanni della Croce sviluppa il tema delle “notti” dell’anima, per esprimere la sensazione di cecità che accompagna la vita mistica. Attraverso i greci Gregorio di Nissa (331-394) nella sua Vita di Mosè e Dionigi l’Areopagita (VI secolo?) nella sua Teologia mistica, questo tema si unisce a quello della nube biblica che accompagnava il popolo eletto durante il suo esodo attraverso il deserto del Sinai. 

Quando Mosè entra in questa nube, scompare agli occhi degli Ebrei, ma riceve la rivelazione di Dio; quando appare agli occhi degli Ebrei, cessa di ricevere la rivelazione divina. È prima di tutto questo contrasto che esprime tutta la retorica della notte tra i maestri spirituali.

MOSES

Vediamo che la sensazione di “notte” che accompagna l’esperienza mistica diventa evidente solo quando chi la vive fa un passo indietro da se stesso, quando, come Mosè, “esce dalle tenebre”, mentre l’esperienza stessa è luminosa. Questo spiega perché la notte sarà vissuta come dolorosa solo se l’anima provoca questo ritiro; e senza rendersene conto, lo provoca cercando di prendere il controllo di ciò che sta vivendo. 

Per questo san Giovanni della Croce, e tutti i maestri con lui, dedicheranno molte pagine a denunciare questo tentativo, invitando l’anima ad accettare la notte, cosa che d’un colpo la farà sparire. Questo è il senso del loro invito alla fede, declinato non solo nel registro visivo della notte, ma anche in quello dell’amor proprio e della necessità che l’anima perda ogni sostegno su ciò che è meno di Dio; la notte, qui, è altrettanta insensibilità, disgusto e altre malinconie che possono staccare l’anima da se stessa.

«Quando Dio vuole possedere interamente un cuore, sa come trovare i mezzi per svuotarlo e purificarlo dall’attaccamento alle creature e dalla proprietà di noi stessi. La sua mano onnipotente opera in questo cuore una croce perpetua che si fa sentire in varie modalità di sofferenze: a volte con le tenebre, a volte con i timori, a volte con gli spaventi e le ambasce», scrive Catherine de Bar in “Lettera del 1665”.

ST JOHN OF THE CROSS

E quando l’anima accetta sinceramente di abbandonarsi a questa bontà senza riserve, «Essa è condotta alla sorgente viva che sgorga da tutta l’eternità - dice 

Louis de Blois, Institution spirituelle, cap. XII - e riempie gli spiriti dei santi in modo sovrabbondante. Le sue facoltà iniziano a risplendere come stelle, e si ritrova a contemplare l’abisso divino con uno sguardo semplice e gioioso, senza alcuna interferenza immaginaria o intellettuale». 

«Di conseguenza, quando si rivolge completamente verso Dio con amore, poiché la luce inafferrabile sale nel suo fondo, l’occhio della ragione e dell’intelligenza viene respinto e diventa cieco, mentre l’occhio semplice dell’anima stessa rimane aperto. (…)».

Nella Tradizione cristiana i maestri non amano molto le visioni e gli altri fenomeni che si innestano come parassiti sulla vita spirituale. Questi fenomeni non aggiungono nulla all’esperienza di Dio, che tende sempre alla trasparenza e alla fede.

Tutte le visioni o apparizioni sono comuni ai buoni e ai cattivi - evidenzia Giovanni Bona in “Della discrezione o sia conoscimento degli spiriti, capp. XIX e XX”, «e non si deve stimare una persona più santa o più perfetta di un’altra, in quanto all’una appaiono degli spiriti e non appaiono all’altra. Poiché si deve stimare più santa degli altri una persona che si sforza di attaccarsi a Dio con un vero amore dopo aver gettato solide e profonde fondamenta di umiltà, come a lui piace e non per ottenere visioni». 

«E quando si è umili - conclude Bona - si rifiuta piuttosto umilmente queste visioni, o le si riceve solo con timore quando Dio le manda, perché si sa che c’è molto pericolo e poca utilità, e che aprono la strada a satana per inquietarci con vari inganni e illusioni. Camminiamo più sicuramente con la fede, la cui luce è al di sopra di tutte le visioni e le rivelazioni di cose segrete e nascoste».

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