Il monaco fedele alla sua vocazione ricorda a tutti gli uomini che non furono fatti per la terra, che questa vita non è la vita; è un segno vivo di escatologia. Se ha rinunciato a questo mondo, se è uscito da esso, è per entrare fin d'ora in qualche modo nel mondo di Dio e degli angeli.
Impegnato senza smettere nella salmodia, nella preghiera e nella meditazione della Sacra Scrittura; contemplando nella natura il riflesso della perfezione di Dio; scoprendo nell’alternarsi delle stagioni, i mesi, i giorni e le ore, la proiezione di un ritmo celeste, il monaco vive in unione con le cose divine, e perciò, la tradizione lo considera come possessore della beatitudine paradisiaca di Adamo o, meglio, della beatitudine del “secondo Paradiso”, la vita angelica dei beati.
Scriveva Filosseno di Mabbug nelle sue omelie: “I loro movimenti sono come quelli degli esseri celesti e tutta la loro regola è come quella degli angeli: canta, al par di loro, spiritualmente il trisagio, salmodia spiritualmente e serve Dio in spirito e verità”.
L'asceta, il monaco, la vergine consacrata sono fin da adesso, in questo senso, abitanti del Paradiso. E la salmodia, la preghiera, il contatto assiduo della parola di Dio, li prepara meravigliosamente per il dialogo interno che li riguarderà in cielo, li abitua al linguaggio degli angeli! Per queste persone la vita futura sembra come straordinariamente prossima, o per meglio dire, come la rivelazione splendida di quello che già realmente sono e possiedono.
Così ci induce a immaginare, ad esempio, il transito di Santa Paola, l'ammirevole discepola di San Gerolamo. Dopo lunghi anni di ascetismo, eccellente conoscitrice della Sacra Scrittura, a cui ripensava giorno e notte, sentiva che lo Sposo divino arrivava per portarla con sé. La sua venuta non fu per lei un problema, una contrarietà, ma rispondeva ai suoi più ardenti desideri.
“Cadde gravemente inferma” - scrive San Gerolamo – “o meglio ancora, ottenne ciò cui anelava: lasciarci per unirsi completamente al Signore”. Il suo transito da un mondo all'altro fu appena percettibile: né convulsioni, né lamenti, niente che ricordasse l’amara morte dei pagani.
Così serena e allegra risultò la dipartita di Paola, che San Geronimo ebbe l'impressione che la Santa abbandonasse un paese straniero per ritornare alla sua vera patria.
L’inferma sospirava con il salmista per i tabernacoli del Signore, trasformando così la sua agonia in un sacrificio di lode, quando udì la voce amorosa dello Sposo che le parlava con le parole del Cantico dei cantici (2, 10-12).
E Paola, continuando il sacro testo, rispose gioiosa: