Di Andrea Campana
A distanza di più di un anno da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’infezione da SARS-CoV-2 un’emergenza globale, possiamo dire di conoscere bene le manifestazioni cliniche legate alla fase acuta, sintomatica, della malattia. Tuttavia, ancora molto resta da comprendere riguardo una condizione sempre più frequentemente descritta nell’adulto, ma che può interessare qualunque età, caratterizzata dalla comparsa, a distanza di settimane - talvolta mesi - dall’infezione acuta, di disturbi tali da compromettere il pieno ritorno al precedente stato di salute.
Si tratta del Long COVID, che infatti è definito come la comparsa o persistenza di segni e sintomi provocati dal SARS-CoV-2 dopo oltre 4 settimane dall’infezione acuta. Questa condizione, seppur più raramente, può interessare anche i bambini e, se non riconosciuta e adeguatamente trattata, può influire sul loro sviluppo cognitivo e sulla salute mentale nel medio-lungo periodo.
Il Long COVID rimane per diversi mesi, e può essere caratterizzato dalla comparsa in tempi differenti di sintomi tra loro diversamente associati, come: febbre, disturbi gastro-intestinali, nausea, affaticamento persistente, mal di gola, manifestazioni della pelle, mal di testa, dolore ai muscoli e alle articolazioni, stanchezza, cambiamenti del tono dell’umore, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, vertigini, palpitazioni, sensazione di fame d’aria, problematiche cognitive. Accanto alla clinica, rimangono tuttora aperti molti interrogativi di ricerca, non essendo ancora chiaro se tali disturbi siano espressione di un danno neurologico diretto causato dal virus, di una risposta del sistema immunitario contro l’organismo, oppure se siano dipendenti dall’intervento medico e/o favoriti da problematiche psichiatriche preesistenti.
Per gestire correttamente il Long COVID nei bambini è indispensabile affrontare il problema con un approccio integrato, che coinvolga specialisti esperti di diverse discipline, definendo le necessità assistenziali, stabilendo programmi di controllo, percorsi di cura e di supporto psicologico/neuropsichiatrico, ma prima ancora promuovendo iniziative che informino adeguatamente i genitori circa quelli che potrebbero essere i disagi e i sintomi d’allarme di questa malattia.