Si sono appena concluse le Olimpiadi di Tokyo 2021, eppure stamattina c'era mia figlia che provava il tuffo carpiato stile Quan Hongchan dal divano e io che battevo il record di Jacobs per acchiapparla (in battiti cardiaci, di sicuro). Mi è pure toccato darle tutti dieci.
L'altra figlia nel frattempo stava trasformando il bagno nella piscina olimpionica per la gara dei 400 con pannolino.
Per fortuna sono in buona compagnia a giudicare dal video che ho incrociato sui social giusto ieri.
L'Olimpiade è quella di Londra 2012 e c'è una bambina col body, in piedi sul lettone dei genitori davanti alla TV che manda in mondovisione la sua eroina: Alexandra Raisman, ginnasta del team USA.
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La piccola Raquel dopo un inizio solenne e una posa concentrata mano sulla spalla, sguardo fiero e mento sollevato, inizia a seguire la coreografia della campionessa in diretta. Passi, saltelli, movenze delle mani.
La stanza da letto è subito la capitale inglese e l'emozione è palpabile.
Davanti a lei, il suo sogno nei panni di una ragazza con capelli tirati in uno chignon, che salta su un ritmo frenetico. Di fianco a lei…suo papà!
Certo perché a tre anni o giù di lì sanno fare benissimo capriole e tipi di salti (forse meglio dire… voli) che nessuna tecnica riuscirebbe a spiegare, in barba alla forza di gravità, ma se si tratta dell'esibizione delle Olimpiadi, ci vuole serietà e un coach d'eccezione. Il migliore.
L'ho visto un attimo col fiato corto sul finale, almeno quanto me che scattavo nei 100 metri stamattina, in piedi da mezzo minuto e se mi facevano l'anti doping con manco uno straccio di caffè all'attivo, ma la sua performance è stata eccezionale.
Giravolte, prese per simulare salti mortali, in avanti, all'indietro: insomma, che per essere genitori ci voglia il fisico, è indubbio.
Qui l'allenamento è costante, ti sfianca e le gare sono tutte di fila. Altro che orari e gare notturne.
Le Olimpiadi di un genitore non finiscono mai.
Alla cerimonia d'apertura poi avevo il pigiama con gli unicorni, altro che tuta Giorgio Armani.
Certi giorni sei così stanco che temi di non farcela, a portare a casa la medaglia, certi altri vorresti ritirarti (una settimana in una spa in Trentino, ma più realisticamente anche nello sgabuzzino a mangiare patatine e bere Spritz) come Simon Biles, ma non c'è questa opzione (se non c'è la baby sitter disponibile per lo meno).
Alcune volte ti chiedi se tutto questo se lo ricorderanno, un giorno: tu, le maratone a raccogliere Lego senza rimetterci un piede, di certo. La realtà è che essere genitore è lo sport più estremo che conosca. Quello per cui non c'è preparazione atletica abbastanza tosta o completa da poterti salvare dai sensi di colpa, di inadeguatezza, da farti arrivare a fine giornata senza fiato corto.
I genitori ce la mettono tutta, non mollano di mezzo centimetro anche quando più che uno sprint è un trascinarsi fino alle ventuno. Ci sono record che nessun cronometro segna, ci sono sogni che iniziano dal lettone di casa, con un papà come allenatore, tifoso, arbitro, telecronista e tutto quello che serve. Perché la vera cosa che serve per arrivare sui podi della vita è il cuore e noi genitori, anche se non vantiamo il tono muscolare di Tamberi, il tono del cuore, ce lo abbiamo da prestazione olimpica.