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San Vittore: i padri carcerati rivedono i figli dopo un anno di Covid

MAN, INMATE, PRISON
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Annalisa Teggi - pubblicato il 06/08/21
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"In quel preciso istante che vedo mio figlio significa tutto, significa gioia, speranza, felicità e allo stesso tempo malinconia e dolore". C'è un'area verde nel carcere di Milano che è un giardino per ri-piantare il bene nel cuore di chi sconta una pena.

È rovente il tema delle carceri in questa estate 2021. Mentre la maggior parte degli italiani s'interrogava su come avrebbe vissuto le proprie ferie con lo spettro del Covid a mettere sbarre anche al tempo del riposo e dei viaggi, pessime notizie sono arrivate dal carcere di Santa Maria Capua Vetere. I video che documentavano soprusi e pestaggi da parte degli agenti sui detenuti hanno aperto uno squarcio doloroso su cui sono intervenuti sia il capo del Governo Mario Draghi, sia il Ministro della Giustizia Marta Cartabia.

Era il 21 luglio e a rincarare la dose si è aggiunta, di lì a pochi giorni, la notizia dell'agente penitenziario aggredito a Vibo Valentia. Come a dire che il tema della reclusione in Italia è esplosivo e drammatico da qualunque punto di vista lo si osservi. Sovraffollamento, suicidi, violenze. La famosa funzione rieducativa della pena è solo un bel passaggio della nostra Costituzione?

Verde, meglio ancora se detto in inglese, è il prezzemolo di quasi tutti i discorsi che riguardano le tendenze sociali, urbane, ambientali. Siamo green, dobbiamo esserlo sempre di più. Se sapessimo andare alla vera origine di questo anelito naturalistico, sarebbe cosa buona. Prendendo spunto da Santa Ildegarda, ad esempio, che nella viriditas (letteralmente 'verdezza') vide il soffio fecondo che il Creatore ha messo dentro la Creazione.

Alla luce di questa ipotesi, gli spazi verdi dentro i nostri centri urbani sono qualcosa in più di una reazione ai veleni dell'inquinamento. Che ci sia un'area verde anche dentro le carceri è un progetto che può aver proprio a che fare col bisogno di rifiorire che hanno anche le anime secche di speranza e avvizzite dalle colpe.

Sono rimasta commossa e colpita da ciò che quest'estate è accaduto nel carcere milanese di San Vittore e documentato da AGI. Nell'area verde che dal 2018 è stata creata in questo istituto di pena alcuni detenuti hanno avuto la possibilità di rivedere e riabbracciare i propri figli e familiari dopo più di un anno di separazione imposto dal Covid.

Ecco l'esempio di un piccolo germoglio buono dentro il calderone rovente e drammatico del sistema carcerario italiano.

In questo anno e mezzo di Covid sono nati figli e nipoti che hanno padri o parenti in carcere. Non si sono mai potuti incontrare. È una pena umana che si aggiunge a quella prevista per legge. E a chi dice: "Se lo sono meritati!" si può rispondere dicendo che l'incontro a tu per tu con un figlio, forse, sortisce un effetto correttivo più potente di quello coercitivo delle sbarre. Come si sente guardato un padre carcerato da suo figlio? Cosa innesca l'affetto parentale nell'anima di una persona che sta scontando una pena e facendo i conti con i propri errori?

Il pentimento e il cambiamento si può sperare di raggiungerli come obiettivo mettendo sul tavolo l'ipotesi di un bene ancora possibile anche per chi si è macchiato di colpe, lievi o gravi. In un'intervista dello scorso ottobre proprio il direttore del carcere di San Vittore, Giacinto Siciliano, ha dichiarato:

E dunque all'interno dell'area verde di San Vittore si è offerta ai carcerati una possibilità di respirare libertà. L'incontro con figli, mogli e nipoti ha innescato in molti il pianto, segno benedetto di una fragilità che è contrizione e gratitudine.

Tra i racconti più significativi che AGI ha raccolto su quest'esperienza, che è riduttivo definire rieducativa, c'è quello di un papà titubante nel fare i passi che lo separano dall'incontro la figlia piccola, la quale - invece - appena lo intravede gli corre incontro urlando «Papàààààà».

Ho rivisto il film di questa scena più volte nella mia testa, perché è una trama che conosco bene anche se non ho esperienza diretta del carcere. Ma conosco le mie prigioni (senza nulla togliere a Silvio Pellico). C'è una cosa che i genitori imparano dai figli, che il perdono non si merita. C'è. E' un atto libero.

WIĘZIENIE

Premessa: sicuramente la realtà carceraria ospita tante storie familiari interrotte, dalle ferite non rimarginate. E questo è vero anche per il mondo senza sbarre. Dunque non voglio guardare la realtà con un filtro rosato, né aggirare gli ostacoli scomodi. I legami familiari sono di una forza viscerale talmente potente da esigere la stessa unità di misura dei terremoti o dei tifoni - nel bene e nel male.

Mi limito solo a osservare quella scena di una bimba che corre incontro a un padre colpevole. Che scossa tellurica è? Che raffica di vento produce? Lo so perché la conosco. Spesso guardo i miei figli dal chiuso delle mie prigioni, consapevole del male che volontariamente infliggo loro. Altrettanto spesso sono guardata da loro con uno sguardo liberante. Mi sorridono, mi abbracciano, mi vogliono bene quando io non sentirei di non meritarlo. Questo è uno sguardo rieducativo. Anziché essere qualcosa che alleggerisce il cuore, lo appesantisce. Lo ripianta coi piedi per terra, anziché lasciarlo tra le nuvole dei sensi di colpa.

Pagato il debito con lo Stato, restano anime che hanno bisogno di essere ripiantate nella comunità umana, non escluse. Ci sono (ancora) poche associazioni e imprese coraggiose che s'industriano per offrire occasioni di lavoro ai carcerati, alloggi, compagnie solidali per vincere la tentazione di ricadere nei circoli viziosi dell'illegalità o criminalità. Ma tutto questo parte proprio dallo slancio di qualla bimba che corre verso il padre, un'ipotesi di sguardo che punta oltre le colpe.

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