Si dirà che è soprattutto un problema culturale e che se le giovani madri senegalesi arrivano ad uccidere i loro figli appena nati è perché non hanno accesso all'aborto.
E non è la stessa cosa? l'uccisione di un figlio, solo prima che nasca, perché non nasca.
Lo riporta Vanity Fair ma prende le mosse da studi pubblicati sul fenomeno che si verifica non solo in Senegal ma anche in altri stati africani subsahariani.
Il settimanale fa una considerazione interessante, prima di ripiegare sul tema aborto legale e accessibile come antidoto a questo crimine.
Le donne senegalesi avevano una ricca tradizione in tema di conoscenza della propria fertilità, di sessualità femminile e di distanziamento delle gravidanze. Era la zia più anziana che istruiva le ragazze ma ora questo formazione legata anche a riti di passaggio va scomparendo e con essa la consapevolezza nelle donne della propria fertilità e la possibilità quindi di decidere.
Capitano allora gravidanze indesiderate a donne giovani sessualmente attive (che espressione discutibile però è questa) ma non sposate.
Aborto e infanticidio sono puniti penalmente; ci sono donne detenute per reati simili già accertati o in via cautelare per il sospetto che se ne siano macchiate.
L'aumento significativo del fenomeno è ricondotto dalle stesse donne delle comunità rurali, che più di tutte patiscono lo stigma sociale in caso di gravidanza fuori del matrimonio, alla perdita della trasmissione di conoscenze e metodi di contraccezione e di regolazione della fertilità che prima era assicurata da riti di passaggio ben precisi e periodi di vera e propria formazione.
Le storie riprese dal settimanale italiano vengono da un servizio, pubblicato su The Guardian, della fotografa Maroussia Mbaye che ha incontrato e ascoltato alcune di queste donne colpevoli di infanticidio, ma vittime di fortissime pressioni sociali. Con il venir meno di questa tradizione, nel senso letterale del termine di consegna di saperi e valori, in merito alla sessualità e alla fertilità, secondo il servizio della rivista britannica, si è andato
Le donne detenute per infanticidio che Maroussia Mbaye ha avvicinato le hanno raccontato che la soppressione dei figli era per loro l'unico orribile modo per uscire da povertà ed esclusione, perché la donna che concepisce fuori del matrimonio è l'unica colpevole per la mentalità popolare prima che per i tribunali.
La sua vicenda prosegue di violenza in violenza; costretta al matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei ha avuto altri 4 figli. Bandita da casa per aver osato chiedere il divorzio, le sono stati tolti tutti i figli. Rifugiatasi nella capitale inizia a lavorare come domestica per mantenersi, chiede aiuto ad un capo religioso del posto ma ne subisce violenza e resta di nuovo incinta.
Teme per il figlio lo stesso destino di vita da reietto, non sa che fare. E' tragico pensare che lasciarlo morire sia stata la sua unica opzione; partorisce in un vicolo piano di immondizia la sua creatura, che è una femmina. Resiste tre giorni allattandola e tenendola nascosta ai datori di lavoro, infine la uccide soffocandola.
Davanti a tanto orrore non può che sorgere in chi vi si imbatte la stessa dose di sdegno per la solitudine e il degrado in cui è stata costretta e pietà per la miseria fisica e morale in cui si è ritrovata a compiere, con le proprie mani, un'azione tanto grave e irreparabile.
C'è anche un'altra faccia di questa e altre storie: l'approccio occidentale nel senso progressista e secolarizzato) al problema. Ci sono studi che ipotizzano l'incidenza della mancanza di una legislazione libera sull'aborto sul numero di infanticidi. Ovvero, se i figli si possono sopprimere prima, nel ventre materno e in un ambiente ospedaliero, non saremo costretti a vedere bambini buttati nelle discariche - nella discarica di Mbeubeuss sono spesso bambini o ragazzi a trovare i cadaveri dei neonati soffocati o uccisi per abbandono dalle madri disperate.
Certo il tema è complesso ma i suoi termini, in realtà, sono semplici: per ridurre gli infanticidi non servono più aborti - che sono di fatto la stessa pratica, solo anticipata; serve la difesa della famiglia, la formazione della donna sulla propria fertilità, l'educazione dei ragazzi, la promozione della dignità della persona umana. E risorse economiche, magari impegnate su questi fronti e non per ampliare strutture in cui si possano praticare interruzioni di gravidanza.
Anche in Senegal nella tragica fotografia di questo aut aut spunta un dettaglio che fa la differenza, un luogo e un modo di trattare le persone, donne e bambini in primis, che scardina i termini di questo dilemma: la Chiesa con le sue opere di carità a favore di donne, bambini, orfani.