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La sofferenza è una punizione di Dio?

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Vanderlei de Lima - pubblicato il 03/08/21
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E i mali lanciati contro di noi hanno effetto o no?

C'è chi pensa che i mali fisici o morali siano castighi di Dio, ma non è vero, come risulterà chiaro da questo articolo.

Diciamo subito che il male è, per definizione filosofica, l'assenza di un bene necessario. Non ha un'esistenza propria, ma nasce dalla mancanza di qualcosa che dovrebbe esistere e non esiste, o esiste ma manca in qualche momento. Le tenebre sono così percepite solo quando manca la luce, la malattia appare nella mancanza di salute, la debolezza nel declino delle forze... Non ogni assenza è tuttavia negativa: la carenza di occhi in un albero non è un male (non gli sono necessari), ma nell'essere umano, ad esempio, lo è.

Il male può essere fisico o morale. È fisico se c'è una mancanza materiale (malattie, miserie, cataclismi...), morale quando deriva dal fatto di deviare dal giusto ordine nel comportamento dell'essere umano, unica creatura responsabile dei suoi atti, facendo nascere vizi, peccati, imperfezioni... In entrambi i casi, il male proviene dalla creatura: nel male fisico deriva dalla natura stessa degli esseri (ad esempio un vulcano), sul piano morale sorge dall'abuso della libertà umana (si verifica, ad esempio, un avallo al peccato dell'aborto).

E qui sorge una questione cruciale: Dio è l'autore dei mali? Perché non li impedisce? La filosofia e la teologia rispondono che Dio – Perfetto, Assoluto ed Eterno – non può essere l'autore, diretto o indiretto, del male. Questo deriva sempre dalla creatura, imperfetta, relativa e temporale. Il Signore può impedire ogni male, ma non vuole farlo per non interferire, artificialmente, nelle leggi naturali. Non permetterebbe il male se non fosse per trarne beni ancor maggiori, secondo Sant'Agostino (Enchiridion, 38). Sì, ogni sofferenza, per quanto penosa e incomprensibile, è una scuola di crescita umana e spirituale per chi ne sa approfittare (cfr. Richard Gräff. O cristão e a dor. S. Paulo: Quadrante, 2007).

Qualcuno direbbe: se Dio non punisce, perché l'Antico Testamento contiene vari passi che fanno capire il contrario? Perché, nel pensiero comune dell'epoca, non si distingueva quello che Dio faceva o permetteva solo che accadesse. Volendo esaltare Dio (al contrario di alcuni oggi che vogliono disprezzarlo), Lo rendevano autore di tutto, perfino del male. Questo, però, non è reale, come si è capito nella lenta e saggia pedagogia della Rivelazione (cfr. E. Bettencourt, OSB. Descobrindo o Antigo Testamento. Rio de Janeiro: Mater Ecclesiae, 2005, p. 101-112). Il male fisico o morale deriva dagli errori delle creature limitate.

L'essere umano, però, può punire se stesso per le proprie mancanze. Sarebbe il caso di qualcuno che preferisce fumare pur conoscendo i rischi che comporta per la salute. Un cancro o un enfisema polmonare non sono conseguenze dell'atto di fumare? Lo squilibrio ambientale non è una risposta della natura alle aggressioni che le vengono inflitte? C'è un proverbio che dice “Dio perdona sempre, l'essere umano a volte, la natura mai”. Questo aiuta a comprendere meglio alcuni (ma non tutti) mali ricorrenti.

Nonostante tutto questo, c'è chi immagina che la malattia o altri problemi siano castighi dovuti a qualche peccato commesso dalla persona o da un suo antenato. Il Vangelo smentisce questa idea: di fronte al cieco dalla nascita, chiedono a Gesù se abbia peccato lui o i suoi genitori per farlo nascere così. Gesù dice che non hanno peccato né lui né i suoi genitori. Anzi: quel male (la cecità) si è trasformato in bene (la manifestazione della gloria divina con la guarigione del cieco) – cfr. Gv 9,1-2.

E i mali lanciati contro di noi hanno effetto o no? No. Possono colpire chi ne ha paura, non perché hanno forza in sé, visto che non hanno alcun potere, ma perché la persona si suggestiona e crede che il male sia più forte di Dio. Questo è peccato. Nulla può vincere Dio, quindi coraggio! Non fate caso al male, pensate al bene, abbiate fede e nulla vi colpirà. È questo che Dio promette nella Sua parola (cfr. Rm 8, 31-37).

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