Come il proverbiale albero che cresce nella foresta, una vita salvata non fa rumore quanto le battaglie mediatiche pro-aborto. E va benissimo così, perché il campo da gioco è la realtà e non i post acchiappa-like.
La vita ha un peso, c'è. E ha fatto scattare i sensori di una culla, lo scorso martedì sera.
Sono ovviamente poche le informazioni specifiche sul caso, ma tutto quello che c'interessa davvero è noto. A Genova è stata deposta una neonata nella culla per la vita all'ospedale Villa Scassi.
Tutto lascia supporre che sia stata la madre a lasciarla lì, accanto alla neonata sono stati messi quattro pannolini e un biglietto con il suo nome. Un corredino minimo che però ci permette di non usare la parola "abbandonata". Affidata. Quel che possiamo immaginare, oltre il velo di sacrosanto anonimato, è una donna che è stata portata - da chissà quale storia - a fare la scelta di far nascere sua figlia e affidarla alle cure altrui: le ha lasciato, probabilmente, tutto ciò che poteva permettersi. Pannolini, ma soprattutto un nome. Come a dire: sei mia figlia, ti riconosco.
Vale la pena di riportare le parole del dottor Gabriele Vallerino, direttore del reparto di Ostetricia e Ginecologia del Villa Scassi, che ha commentato il ritrovamento:
È bella l'espressione 'urtare contro la realtà', onesta e tutt'altro che negativa. La realtà non accarezza quasi mai, piuttosto s'impone con una presenza ponderosa. E noi, quando ponderiamo, facciamo l'opposto di chi si nutre di ideologia. Pensare è prendere atto del peso della vita reale, della sua consistenza oggettiva. Concepire un figlio ha un peso oggettivo, fin da quei pochissimi quasi-grammi vivi e presenti nel grembo materno. Rimanere incinta può essere un urto, di sicuro non è un'impressione astratta che diventa reale solo quando scegliamo di accettarla.
La culla per la vita funziona così: fa scattare un allarme quando il peso del neonato viene appoggiato lì sopra. L'essere umano senz'altro non è una macchina, ma in tempi di pensieri impazziti si può imparare qualcosa anche dai sistemi meccanici. Quando una vita c'è si sente. Chi la porta in grembo s'innesca esattamente come l'allarme di cui sopra, forse perché è vero il ragionamento a ritroso: la madre è proprio la culla per la vita, versione originale e ogni altra macchina sostitutiva assomiglia a lei.
Quando una madre urta contro ogni tipo di realtà gravosa, violenta, difficile, quel che di davvero umano si può fare è moltiplicare 'culle per la vita' (cioè moltiplicare le forme di accoglienza). Umano è soccorrere e sopperire a ciò che una madre non può, e non convincere una madre che la sua unica scelta sia eliminare quella piccola vita che già ha un suo peso.
Sono circa 50 le culle per la vita distribuite sul territorio nazionale. Fu un'idea che nacque negli anni '90 per limitare i casi di neonati abbandonati nei cassonetti o per strada e rappresentano un supporto concreto alle maternità difficili, oltre ai CAV e alla possibilità di parto in anonimato.
A Genova la culla per la vita dell’ospedale Villa Scassi fu donata dai Lions nel 2007. Da allora nessun caso di neonato lasciato alle cure mediche, fino a martedì scorso. 14 anni di inattività.
Molti falsi allarmi dunque e un impianto, sicuramente costoso, che non era mai stato utilizzato. Però è stato pronto ad accogliere una neonata quando c'è stato bisogno. Senz'altro, misurando il valore di un prodotto con l'ottica ristretta del costo-beneficio, si potrebbe far notare lo spreco e gli scarsi risultati di questo investimento. Ed è esatto. Spreco è la parola giusta. E per quel che riguarda la vita, si investe proprio per sprecare.
Minima spesa, massima resa. È una prospettiva gratificante, ma non sempre. Segue la legge del guadagnarci qualcosa. Investi poco e quel poco frutta molto. Benone, strofiniamoci le mani.
Ma cos'è poi il guadagno? Avere qualcosa - o qualcuno - in più (non solo avere qualcosa in più di quello che si è investito). L'economia della vita è un campo di investimenti in cui per avere una presenza in più occorre buttare via una montagna di tempo e risorse. Ci si perde un sacco. E ci si guadagna solo quando si spreca. Il caso di Genova è eclatante e chiaro: una culla inoperosa per 14 anni ha salvato una vita. Fossimo nel campo ittico sarebbe un fallimento: pensiamo a un pescatore che butta una rete e dopo 14 ore ci trova dentro solo una piccola sardina.
Ma non siamo nel campo ittico, né in quello finanziario. Quel che 'ha pescato' una culla inerte per 14 anni non è un prodotto utile a qualcuno. È invece un'anima unica e irripetibile. Pesa appena 2,9 kg ma porta dentro una novità di cui il mondo non può fare a meno. L'economia dello spreco è proprio questa: un investimento gigante per un irrinunciabile guadagno minuscolo. Pur di non perdere per strada nessun seme di vita, si gettano reti grandi a dismisura che saranno vuote per tantissimo tempo. Perché sono come sentinelle, basta che ci siano e non mollino il posto che presidiano. Turni di guardia estenenuanti e noiosi valgono quanto l'istante in cui uno urla: "Ecco, c'è qualcuno laggiù".
Lasciamo ad altri di seminare post con lo slogan giusto sul corpo della donna e raccogliere migliaia di like. Minima spesa, massima resa (quale poi? quella di far remare l'umano contro se stesso?). Noi continuiamo a costruire culle 'inutili' per decenni ma essenziali al momento giusto. Sprechiamo reti ovunque, lo scopo non è raccogliere molto ma salvare uno alla volta.