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San Giovanni Paolo II, notissimo sconosciuto

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Francisco Borba Ribeiro Neto - pubblicato il 28/07/21
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Conosciamo abbastanza San Giovanni Paolo II, ma noi e il mondo saremo molto più felici nella misura in cui approfondiremo tutta la ricchezza del suo messaggio e della sua testimonianza

Il 18 maggio 2020 abbiamo commemorato il centenario della nascita di San Giovanni Paolo II. Leggendo gli innumerevoli articoli scritti su di lui, constatiamo un paradosso: pochi uomini del suo tempo sono stati tanto conosciuti e ammirati come lui, ma il suo messaggio è stato ancora poco approfondito.

La facilità di comunicazione nel mondo di oggi ha portato a una curiosa inversione. In passato, i Papi erano poco noti alla maggior parte dei fedeli. Ci voleva molto tempo perché un documento pontificio venisse tradotto e letto dai cattolici di un Paese (quando veniva tradotto). Le azioni e il comportamento del Sommo Pontefice erano ancora meno noti. Il rapporto della comunità cattolica con la gerarchia passava quasi totalmente per la Messa domenicale e per i parroci, a volte per i vescovi.

Oggi accade il contrario: soprattutto nelle grandi città e dove gran parte dei cattolici non è praticante, i fedeli non sanno nemmeno chi sia il loro parroco – ma tutti sanno che il Papa è Francesco e che prima di lui era Benedetto XVI. I documenti pontifici vengono ormai diffusi in varie lingue e sono letti e discussi sulla stampa. Le azioni e i comportamenti dei Papi sono le principali opportunità di annuncio e le testimonianze più note per tutto il pianeta.

San Giovanni Paolo II rappresenta il punto di svolta di questa tendenza. Come alcuni sottolineano giustamente, è stato il primo leader del mondo globalizzato. Ha superato i limiti delle cause nazionali, è diventato un fenomeno mediatico in tutti i Paesi, ha segnato chi l'ha visto e chi non l'ha visto. Con lui, i cattolici di tutto il mondo hanno ottenuto un punto di riferimento a cui guardare, un esempio in cui rispecchiarsi. È una grazia di Dio che i Papi, ora che sono tanto visibili per il mondo, siano personalità così speciali...

La forza di quella testimonianza ha fatto sì che ci concentrassimo molto sulla sua persona, indubbiamente eccezionale, e guardassimo poco al suo messaggio, che spesso è stato ridotto quando non distorto. Con Francesco accade qualcosa di simile: quelli che apprezzano una sua dichiarazione la ripetono, quelli che non l'apprezzano lo attaccano, ma gli uni e gli altri si sforzano ben poco di capire integralmente ciò che è stato detto...

La somiglianza tra San Giovanni Paolo II e Francesco merita di essere approfondita, perché ci aiuta a superare certi schemi rigidi. Sia l'uno che l'altro venivano dalla “periferia” della struttura di potere della Chiesa, anche se da lati opposti. Uno veniva dalla Polonia, considerata una “fine del mondo” dagli Europei degli anni Settanta, l'altro dall'Argentina, un'altra “fine del mondo”, stavolta per il mondo globalizzato attuale.

Entrambi hanno vissuto l'esperienza della dittatura e della persecuzione della Chiesa, anche se uno ha affrontato una dittatura di sinistra e l'altro una di destra. Venivano da Paesi con un grande orgoglio nazionale, ma con molte difficoltà nella loro storia. Hanno lavorato nel mondo laico prima di essere ordinati e hanno dimostrato un grande apprezzamento per i lavoratori e le classi popolari – non lasciamoci ingannare dal fatto che uno ha dovuto affrontare gli errori del comunismo e l'altro deve oggi far fronte a quelli del capitalismo! Entrambi cercano una Chiesa sempre più conforme a Cristo, pur avendo una visione acuta della propria responsabilità sociale e politica.

Il punto in comune più importante – e meno commentato sia dagli ammiratori che dai detrattori di entrambi – è però forse il loro rapporto personale con la misericordia di Dio. Per entrambi, la misericordia è non solo un tema di devozione personale, ma quello che la Chiesa può offrire di più prezioso al mondo attuale, dove nonostante tutti i discorsi sulla tolleranza e il rispetto della diversità ciascuno di noi vale per quello che è in grado di fare e non per l'amore che riceve (mentre nella logica della misericordia l'essere umano vale per l'amore che riceve e non per ciò che ha fatto di bene o di male).

In occasione del centenario della nascita di San Giovanni Paolo II, il Papa emerito Benedetto XVI ha scritto una lettera che sottolinea proprio questo aspetto del magistero di San Giovanni Paolo II. Ratzinger è stato senz'altro uno dei collaboratori più vicini e fedeli di Wojtyła, e per questo la sua testimonianza ha un valore particolare.

Molti si sono opposti a San Giovanni Paolo II dicendo che era un “rigorista”, ovvero una persona che colloca i criteri morali al di sopra delle persone (nei Vangeli, i farisei sarebbero tipici esempi di rigoristi). Benedetto XVI spiegava che non era vero proprio per il grande valore che Wojtyła dava alla misericordia. Seguire rigorosamente i principi morali non dà l'ultima parola a chi si muove per l'amore ricevuto. Chi sperimenta la misericordia vuole corrispondere a quell'amore, e per questo cerca di non sbagliare, ma sa che non è l'errore, ma l'amore a definire la sua vita.

Mi permetto di aggiungere un'idea. San Giovanni Paolo II non era un rigorista anche perché valorizzava molto l'esperienza umana (influenza della scuola filosofica della Fenomenologia, che seguiva come accademico), e credeva che i valori morali corrispondano all'esperienza umana, se portata alle sue ultime conseguenze. L'indissolubilità del matrimonio, ad esempio, non è un valore solo perché Dio desidera che lo sia (il che è senz'altro vero) o perché la società ha istituito una norma, ma perché le coppie saranno più felici se vivranno il proprio matrimonio fino alla morte. Questa percezione apre un dialogo immenso con la cultura di oggi, che San Giovanni Paolo II ha iniziato nella sua teologia del corpo e che dev'essere portato avanti da noi.

Conosciamo abbastanza San Giovanni Paolo II, ma noi e il mondo saremo molto più felici nella misura in cui approfondiremo tutta la ricchezza del suo messaggio e della sua testimonianza.

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