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In cosa consiste l’attualità sempreverde dei Padri della Chiesa

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 27/07/21
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Una raccolta di articoli pubblicati negli ultimi anni su La Civiltà Cattolica si offre ai lettori come agile strumento per accorciare le distanze con quanti hanno operato la prima elaborazione della fede cristiana.

È un numero particolare, all’interno della collana Accènti, questo sedicesimo: se infatti il fascino delle miscellanee de La Civiltà Cattolica sta nel loro poter attingere a un’emeroteca sconfinata per ripercorrere diacronicamente un tema proposto, questo numero dedicato ai Padri della Chiesa sembra più una raccolta di saggi di padre Enrico Cattaneo (con contributi dei padri Dominik Markl e José Luis Narvaja) che una collana di pepite della più antica rivista d’Italia. 

L’impressione non mente, ma del resto non è neppure dissimulata, visto che nella Presentazione il direttore Antonio Spadaro ringrazia «p. Enrico Cattaneo, ai cui studi e alla cui iniziativa dobbiamo l’idea di questo volume» (p. 3). 

Se la raccolta si distingue vistosamente dal genere attestato nella collana, ciò non la priva di un forte interesse, che può dirsi quello di un’agile introduzione alla patrologia: in centocinquanta pagine il lettore viene accompagnato attraverso alcuni snodi essenziali del pensiero patristico. 

La disposizione interna della materia, in realtà, mostra una ratio ancora più solida e coerente di quella descritta nella Presentazione, perché se è vero che Ignazio e Ireneo descrivono come i fuochi di un ellittico II secolo, poi non si passa d’un balzo al IV (che è sì, giustamente, il “secolo d’oro” dell’età patristica) e ai “padri latini”, bensì si prosegue tramite Luciano di Antiochia (e giustamente Cattaneo ricorda e sottolinea che pure Ario si sarebbe vantato di essere stato discepolo di Luciano) che nel IV secolo arriva quasi solo per morire martire. L’età nuova – quella della pace tra Chiesa e Impero, preludio al matrimonio teodosiano sul finire del secolo – comincia proprio un anno dopo la morte di Luciano. 

Il quadro dell’epoca pre-nicena comincia molto significativamente con Ignazio… e con una sintesi (operata a tavolino ma tutta documentatissima) del “Credo di Ignazio”, scritto ripescando nelle sue lettere passaggi collimanti con le definizioni dogmatiche posteriori: 

Né perde contatto col contesto contemporaneo il capitolo su Ireneo, che dopo aver illustrato le caratteristiche salienti dello gnosticismo “storico” aggiunge: 

Il passaggio dal terzo al quarto capitolo si lascia dietro d’un balzo non solo le persecuzioni dell’Impero, ma anche le (meno cruente ma nient’affatto meno vivaci) dispute inerenti alla crisi ariana: con Basilio infatti si mette a punto la chiave di volta che traghetta dal vetero-nicenismo al neo-nicenismo e alla sintesi della fede prodotta al primo concilio di Costantinopoli. Cattaneo non si è però rivolto a questi contenuti dogmatici alquanto tecnici, e ha invece preferito esaltare un aspetto dell’antropologia basiliana sicuramente più godibile per il lettore non avvezzo al genere: 

Perfettamente ragionevole, e quasi automatico, è venuto a questo punto il “passaggio a Occidente” con Ambrogio, che all’epoca fu tra i più attenti agli esiti che i Cappadoci avevano impresso alla tradizione alessandrina-origeniana: 

I due articoli sulla “vera grandezza dell’uomo” secondo Basilio e sulle catechesi di Ambrogio sul Cantico sono tanto armonicamente disposti da dare quasi l’idea di essere stati composti già in vista della miscellanea. S’inserisce a questo punto il primo contributo di un pugno diverso da quello di p. Cattaneo, ossia l’articolo di padre Markl sull’eredità di Girolamo «sedici secoli dopo la sua morte» (l’articolo è stato scritto nel 2020, anche se «oggi gli storici considerano come data più probabile [per la morte del Traduttore, N.d.R.] l’autunno del 419» (p. 63): 

Dopo il ritratto di Girolamo segue quello del Crisostomo, “pastore e teologo”, immortalato soprattutto nel suo ardente amore per l’apostolo Paolo: 

E qui uno si sarebbe aspettato di trovare il punto di continuità con Agostino, avendo il Crisostomo in qualche modo precorso la felice formula agostiniana per cui Dio sarebbe tanto buono da rendere nei santi loro veri meriti i suoi puri doni… invece la rassegna passa a Paolino e al suo concetto di “devozione ai santi”. Forse si sarebbe potuto chiudere la parte prosopografica con Paolino, anticipando i due articoli su Agostino: da una parte infatti Paolino, sostanzialmente contemporaneo di Agostino, morì nel 431 (ossia un anno dopo l’Ipponense); dall’altra “la devozione ai santi” è quasi un “tema”, più che una presentazione prosopografica… 

Ad ogni modo la lettura prosegue gustosa e approda finalmente al Doctor Gratiæ con un articolo – l’ultimo di p. Cattaneo in questa sezione – sul Prologo delle Confessioni e con uno – di p. Narvaja – sui concetti di Tradizione e di sviluppo del dogma: 

Gli ultimi quattro contributi sono dedicati rispettivamente al ministero della predicazione, alla povertà, alla parrhesia e al delicato triangolo “giovani, cultura e discernimento” (con particolare riferimento, ancora una volta, alle esperienze di Agostino e di Basilio), e i contributi/capitoli corrono piacevolmente sul crinale della ricchezza di contenuti senza cadere nel versante dei tecnicismi né scivolare nell’autoreferenzialità clericale: 

Ben intonate con questa, le ultime pagine del volume sembrano meno immerse nel IV secolo di quanto siano mosse dalla passione pedagogica: proprio in questa modernità sta il carattere autentico degli studî patristici, che non possono limitarsi a una erudizione fine a sé stessa ma devono puntare alla formazione umana integrale dei giovani di oggi come di quelli di ieri. 

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