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Il “green pass” rispetta la libertà individuale?

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i.Media per Aleteia - pubblicato il 23/07/21
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di Isabella H. de Carvalho

Molti paesi europei stanno implementando nuove misure per limitare la diffusione del COVID-19 che prevedono l’utilizzo di pass sanitari, o “green pass”, per poter accedere a determinati luoghi pubblici. Per poter andare al bar, ad un ristorante o al cinema, le persone dovranno dimostrare di essere state vaccinate contro il COVID-19, di aver realizzato un tampone negativo recente o aver superato il virus e rimanere immunizzati. Queste misure hanno suscitato delle proteste e molti le hanno viste una limitazione alla libertà individuale.  

Il professore Stefano Semplici, docente di Etica sociale all’Università di Tor Vergata a Roma e membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita della Santa Sede, ha parlato con I.Media dell’importanza dei vaccini e la giustificazione ‘etica’ di queste misure in una situazione di emergenza sanitaria dove le decisioni di ogni individuo possono avere ripercussioni su tutta la popolazione.

“La libertà di scelta è un valore fondamentale, ma questo non significa che non possa essere limitato per nessuna ragione e in nessuna circostanza,” ha affermato il professore Semplici.

Come analizza la situazione del pass sanitario che si sta sviluppando con queste nuove misure? Come si può rispondere alle obiezioni?

Quando scoppia una pandemia, il ‘nemico’ contro il quale si combatte si diffonde sfruttando come ‘veicolo’ il corpo delle persone. Questo significa, molto semplicemente, che ciò che facciamo (o non facciamo) non ha conseguenze solo per noi, ma anche per gli altri. Nel caso della COVID-19 si tratta fra l’altro di un nemico particolarmente insidioso, perché molti dei contagiati sono asintomatici o paucisintomatici [ovvero con sintomi lievi, ndr] e dunque possono diventare veicoli inconsapevoli. Nella prima fase dell’epidemia il distanziamento fisico, con tutte le restrizioni e le ricadute negative che ha comportato, è stato per questo motivo una scelta obbligata. Il vaccino è lo strumento che può consentirci, mantenendo comunque comportamenti prudenti, di tornare a essere ‘più vicini’ e a vivere con maggiore serenità una quotidianità di incontri e relazioni. Vaccinarsi significa insomma riaprire bar e ristoranti riducendo il rischio di doverli richiudere.

Dal punto di vista etico qual è la validità di queste restrizioni? Secondo lei sarebbe etico rendere il vaccino contro il COVID-19 completamente obbligatorio?

Un obbligo basato su una vera e propria coercizione non viene proposto da nessuno. Ciò di cui si sta parlando è un sistema di restrizioni ed eventualmente sanzioni che possa costituire un ‘incentivo’ efficace alla vaccinazione. La giustificazione ‘etica’ di questa scelta rimanda a quanto ho già detto sul significato di una pandemia come problema di salute pubblica. Chi non si vaccina (fatti salvi, ovviamente, i casi in cui ciò non è possibile) contribuisce ad allontanare il momento in cui si potrà finalmente chiudere questa pagina così dolorosa. E su questo non sembrano esserci dubbi da parte degli esperti. Non si tratta semplicemente di ridurre i rischi per la propria salute, che si riducono di molto con l’età, ma di considerare la vaccinazione come un vero e proprio esempio di solidarietà. Anche nella condivisione dei rischi che, in rari casi, la vaccinazione può comportare. Proprio perché i benefici della cosiddetta ‘immunità di gregge’ saranno goduti da tutti.

Secondo lei si può trovare un equilibro tra il dovere etico o morale di vaccinarsi e la libertà di scegliere in una situazione di emergenza come questa della pandemia? Come?

Una risposta a mio avviso molto chiara a questa domanda si trova nel parere su I vaccini e COVID-19 del Comitato Nazionale per la Bioetica, [un organo consultivo dello Stato italiano, ndr] del novembre 2020. Il Comitato riteneva “eticamente doveroso” fare ogni sforzo “per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale attraverso l’adesione consapevole”. Ma non escludeva, di fronte al perdurare della gravità della situazione sanitaria e all’insostenibilità a lungo termine delle limitazioni alle attività sociali ed economiche, che si potesse arrivare all’obbligatorietà, “soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione di virus”. La libertà di scelta è un valore fondamentale, ma questo non significa che non possa essere limitato per nessuna ragione e in nessuna circostanza.

Rendere il vaccino quasi obbligatorio con queste nuove misure non ha il rischio di aumentare la sfiducia degli “anti-vax”? 

Può darsi che si determini un inasprimento delle posizioni ed è per questo che ogni tentativo andava fatto (ed è stato fatto) per arrivare a una vaccinazione di massa sulla base di una libera adesione. Ma credo che non si debba neppure trascurare il fatto che sta crescendo negli stessi vaccinati l’irritazione determinata dal constatare che il virus continua a circolare, aumentando il rischio di varianti più aggressive e pericolose, anche perché rimane troppo alto il numero di coloro che, per ragioni diverse e non sempre riconducibili al vocabolario tradizionale dei no-vax, rifiutano la vaccinazione. Il rischio è insomma quello che si aprano conflitti difficili da gestire e dalle conseguenze imprevedibili.

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