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Un prete rapito e mai più ritrovato: il martirio di don Francesco Bonifacio

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 22/07/21
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La vicenda è accaduta tra il Friuli e l'Istria l'11 settembre 1946 al tempo delle Foibe. Quest'anno ricorrono i 75 anni della sparizione del sacerdote, che sarebbe stato massacrato in odio di fede

L’11 settembre ricorrono i settantacinque anni dalla sparizione del beato don Francesco Bonifacio, beatificato il 4 ottobre 2008 nella Cattedrale di San Giusto a Trieste, dove era stato ordinato. 

Don Francesco Bonifacio è stato ucciso in odio alla fede nel settembre (probabilmente il giorno 11) del 1946 in una foiba presso Villa Gardossi in Istria.

Nato a Pirano (Slovenia), classe 1912, avverte fin da bambino la vocazione al sacerdozio ed entra nel Seminario di Capodistria nel 1924. Viene ordinato sacerdote nella Cattedrale di San Giusto il 27 dicembre 1936. Il primo breve incarico lo svolge nella stessa Pirano. 

Negli anni difficili dopo l’8 settembre 1943, la popolazione dell’Istria, stretta tra gli occupatori tedeschi e il fronte di liberazione di Tito, vive momenti di grossa difficoltà e don Bonifacio si prodiga per soccorrere tutti, per impedire esecuzioni sommarie, per difendere persone e cose.

Negli anni dell’amministrazione jugoslava, si legge sul portale della Diocesi di Trieste, la propaganda antireligiosa viene sostenuta a tutti i livelli. Il culmine verrà raggiunto con l’aggressione a Capodistria del Vescovo mons. Santin e l’uccisione a Lanischie di don Miro Bulešić nel 1947. 

Il servizio pastorale di don Bonifacio viene fortemente limitato, ma lui non desiste: è un leader naturale che polarizza attorno a sé la popolazione, soprattutto i giovani. È un prete scomodo e perciò deve essere eliminato.

L’11 settembre 1946 don Francesco, dopo un breve riposo pomeridiano, imbocca a piedi la «strada regia». Alle sedici si ferma a Peroi, un villaggio vicino Pola, per ordinare la legna per la casa e poi prosegue verso Grisignana per la confessione. L’incontro con don Giuseppe Rocco dura alcune ore. Gli parla della difficoltà della sua curazia, della necessità di restar fedele al ministero, di accostarsi regolarmente alla confessione, di affidarsi al direttore spirituale, di seguire i consigli dell’Unione apostolica del clero.

Dopo una breve sosta in chiesa, don Rocco propone al confratello di pernottare a Grisignana; al suo diniego lo accompagna fino al cimitero di San Vito. Qui, separandosi, vedono alcune guardie popolari che escono dal cimitero. Don Rocco «raccomanda (al confratello) di andare presto a casa». Egli scegli la strada più breve per Villa Gardossi e arriva a Radani. 

Qui, come confermato da parecchi testimoni, viene avvicinato e fermato da due o quattro guardie popolari o soldati della polizia jugoslava. Poi, tutti assieme, dopo un «parlare concitato», si allontanano e spariscono nel bosco. Alcuni paesani che tentano di avvicinarsi al gruppetto vengono «cacciati via e minacciati». Le guardie che arrestano don Francesco sono conosciute e riconosciute dai paesani in base alla convergente testimonianza di parecchie persone.

L’11 settembre sera, non vedendolo rientrare, i familiari cominciano ad allarmarsi. Il fratello Giovanni con altri compaesani rifà il percorso verso Grisignana per rintracciare il prete e soccorrerlo nel caso di bisogno. All’avanzare dell’oscurità, le ricerche vengono sospese. 

Il 12 settembre mattina la notizia del fermo si diffonde rapidamente in paese, e viene confermata da più parti. Il fratello Giovanni, insieme a un amico, si reca prima al comando della polizia di Grisignana e poi a Peroi dalla sorella di una delle guardie riconosciute dai testimoni, ottenendo però solo risposte vaghe, reticenti e contraddittorie.

Nel frattempo si continuano le ricerche ispezionando i boschi della zona senza trovare alcuna traccia utile. Il 13 settembre Rocco Fonda, cognato di don Francesco, si reca dl comando della difesa popolare di Buie ottenendo ancora risposte evasive. Il 14 settembre il fratello Giovanni interpella il comando dell’OZNA di Buie senza alcun risultato, ma venendo arrestato per falso e trattenuto in carcere per tre giorni. La mamma Luigia rimane ancora un anno a Villa Gardossi, continuando le ricerche del figlio, anche al tribunale del popolo di Albona, ma senza risultato. Poi, con gli altri familiari, si trasferisce a Trieste.

In paese, intanto, si diffonde il terrore e l’intimidazione. Nessuno parla più della questione. Ancora negli anni Settanta è pericoloso occuparsi del caso Bonifacio.

Don Francesco scompare l’11 settembre 1946 e della sua morte, sicuramente violenta, non si conosce nessun particolare certo, ma solo notizie parziali, reticenti o contraddittorie. Egli sarebbe stato ucciso la notte stessa dell’arresto, attraverso modalità incerte. Anche il destino del cadavere sarebbe incerto: cremazione, infoibamento (qualche voragine della zona, foiba di Martines a Grisignana, foiba di Pisino), sepoltura.

In don Francesco Bonifacio, uomo buono e pacifico, si volle colpire il pastore d’anime, individuando in lui, a motivo del grande ascendente spirituale che godeva su tutta la popolazione, un ostacolo intollerabile alla diffusione dell’ideologia comunista Egli ha difeso coraggiosamente la fede della sua gente dall’ateismo che si pretendeva di imporre. Venne ucciso in odio a Dio e alla Sua Chiesa e per la fedeltà al suo sacerdozio e al suo ministero.

Il decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, del 3 luglio 2008, definisce la morte di don Francesco Bonifacio come un martirio. La beatificazione si è svolta il 4 ottobre. 

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