Chiamare per nome la figlia, come potesse richiamarla alla vita che lei le aveva consegnato un mazzetto di anni prima e che quel ragazzo, bambino anche lui un soffio fa e ora carnefice, le aveva tolto. Aveva già capito, la signora Giusi, 56 anni, mamma di Chiara morta domenica sera e trovata l'indomani, il 28 giugno, brutalmente uccisa a pochi metri dalla sua abitazione.
Ad ucciderla il ragazzo con cui si era data appuntamento che, dopo i primi depistaggi e le menzogne cha hanno tanto oppresso i genitori, ha confessato. Dice di averlo fatto perché gli dava fastidio, perché lo irritava; e per obbedire a un demone. Niente di più vero, in ultima analisi. Il male è sempre cattività, schiavitù del maligno ma aspettiamo a sbilanciarci; l'azione del demonio è continua e instancabile anche se non sempre utilizza manifestazioni così straordinarie, soprattutto se gli basta meno per avere in pugno le nostre anime delle quali è ghiotto ben più che dei nostri corpi e delle nostre menti.
Come si chiama quella scala del dolore per cui ora, non appena arrivi al pronto soccorso o sei ricoverato per cose anche non gravissime, ti sottopongono i medici? La VAS o a VNS, poco importa. E' quel sistema soggettivo per cui il paziente dichiara l'intensità percepita del dolore che lo affligge.
Quanto male sentono da uno a dieci la mamma e il papà di una figlia uccisa a calci e coltellate, disarmata in mano al suo assassino perché era convinta o almeno sperava che la potesse amare?
Quanto male fa saperla a poche decine di metri fuori dal giardino di casa in balia della furia di un ragazzo che sembrava normale e che, questo fa ancora più paura, sostanzialmente è normale?
Prima di rifugiarci nella solita rassicurante mostrificazione, infatti, ciò che ci spaventa e sgomenta di più è la sua apparente normalità. Ma non sappiamo più come è fatto davvero il cuore dell'uomo e di che cosa sia capace né chi possa ospitare se non apre all'Ospite dolce e se non si mette seriamente e costantemente al lavoro su sè stesso invocando l'aiuto della grazia.
Quanto male fa, da uno a dieci, sapere che tua figlia è morta uccisa dal suo amico? quello a cui ti senti in colpa di averla consegnata, quello per cui ti senti in colpa di non aver sospettato l'insospettabile.
Chi è mamma, spesso si sente in colpa un po' per tutto perché alla fine, senza il mistero d'amore di Dio, ci si sente in colpa di aver messo i nostri figli in questa vita, in questo mondo che è fatto così, pieno di ferocia gratuita, di rabbia e odio tanto forti da caricare di energia i pugni a un ragazzetto ancora imberbe.
Ve lo confesso, ora farò solo finta di immedesimarmi con Giusi Fortunato, perché a entrare davvero nella stanza dove sta lei ora, mamma di una ragazza come ne ho anche io, di quell'età, con quella stessa pelle, gli stessi capelli da bambina ma che ora non si lasciano più toccare, con lo stesso desiderio di essere qualcuno per qualcuno che non siano più solo i genitori, a entrare lì dentro c'è da morirne.
Ma anche quel figlio, ora non è più a casa, da reo confesso è in carcere a Bologna in attesa di giudizio; ed è in vita, in attesa del Giudizio divino; quello che gli auguriamo lo raggiunga prima della fine perché possa riconoscere il male che ha compiuto, il dolore che ha causato, la devastazione che ha portato in tante vite. E scopra che persino un orrore tanto grande può essere perdonato, se lo si chiede a Dio con cuore sincero.
Certo, domandare ora, alla madre se perdona l'assassino della figlia è la solita trappola ignobile per far uscire ancora più sangue dal suo cuore trafitto (e far aumentare il traffico sui propri articoli).
Nell'intervista rilasciata al CorSera la donna lo dice spesso: sono una mamma ansiosa, molto ansiosa; e la sua Chiara lo sapeva, per cui rispondeva sempre a messaggi e chiamate e avvisava se sapeva che avrebbe tardato. Anche quella domenica saltella verso casa per avvisare che starà fuori soltanto dieci minuti, senza sapere che sarebbe stato un addio.
Non so se ha base scientifica o almeno clinica questa mia considerazione ma chi prova molta ansia e si figura scenari terribili, come la perdita di un figlio, sperimenta dentro di sè una sorta di espiazione anticipata, come stesse offrendo un sacrificio propiziatorio che dovrebbe metterla al riparo dalla evenienza reale di quel caso.
Pago tutto in anticipo con la moneta dell'angoscia ma tu, destino, non portarmela via davvero questa figlia.
Succede, nei nostri cuori materni e selvaggi, ma non funziona. E' una moneta fuori circolazione.
Vincenzo Gualzetti è il papà; lui non l'ha avuta nelle viscere e la ama in un modo diverso; a volte penso che i padri possano addirittura soffrire di più o almeno con un'acutezza diversa, perché sono capaci per condizione e natura di un distacco tale dal figlio che permette loro di gustare fino in fondo l'amaro di quella perdita; vede, quasi contempla sua figlia che si incammina verso il carnefice e vede di che cosa muore. Della vulnerabilità e dell'ingenuità del suo amore acerbo e non ricambiato. Della generosità incosciente del suo affetto. Della sconsiderata imprudenza forse.
In realtà si muore a causa di una volontà contraria all'amore, Chiara è stata uccisa per odio gratuito e immotivato. Ma poiché l'amore è tanto forte può, con il nuovo conio stampato da Cristo in croce, trasformare la morte dell'altro nella forma più alta di difesa della persona, del suo valore ultimo, della sua indistruttibilità; sia di chi muore sia di chi uccide, fino a che abita il tempo e può pentirsi.
Oggi è Santa Maria Goretti e ho recuperato una sua frase, detta a fatica prima di morire, anzi senza quella e la certezza che arrivasse al suo assassino, non si concedeva nemmeno il lusso di porre fine alla sua agonia:
Che meraviglia; solo Cristo può darci così tanta stima per noi stessi, il nostro valore, la beatitudine di ciò che ci aspetta, la volontà che sia per tutti, persino per chi ci toglie la vita.