La prima parte di questa articolata intervista è già uscita anche sulle nostre pagine e potete leggerla qui.
Oggi proseguiamo con le domande e le risposte ad un tema cruciale e delicato che riguarda la maternità e le esperienze difficili che le mamme possono trovarsi a vivere subito dopo la nascita del bambino.
Ci eravamo lasciate nel bel mezzo della discussione sul baby blues e la differenza con la depressione post partum vera e propria.
Riprendiamo con la cara Rachele Sagramoso (mamma e ostetrica) la nostra chiacchierata sul tema!
La depressione post-parto ha caratteristiche più patologiche che talvolta dipendono da uno status già delicato pregresso alla gravidanza: queste persone di solito sono in cura di già e quindi hanno già terapie. In linea di massima la depressione post partum, a differenza del maternity blues, compromette il funzionamento sociale e la capacità di far fronte al proprio ruolo.
[…] La depressione post partum e la depressione in gravidanza hanno una sintomatologia sovrapponibile a quella del disturbo depressivo maggiore in altre fasi della vita, che include umore depresso, anedonia, mancanza di energia e senso di colpa. I disturbi mentali in gravidanza e dopo il parto possono presentarsi come esordi o come episodi ricorrenti di disturbi già manifestati in passato.
I più comuni sono i disturbi d’ansia e quelli depressivi; la prevalenza dei disturbi d’ansia è circa il 15% in gravidanza e il 10% nei primi sei mesi dopo il parto, mentre i disturbi depressivi colpiscono circa il 12% delle donne durante la gravidanza, e il 10%-15% nel primo anno dopo il parto. Spesso disturbi d’ansia e depressivi si presentano in comorbilità nei primi 6 mesi dopo il parto.
Sono disponibili evidenze che documentano un impatto negativo dei disturbi mentali in gravidanza sugli esiti ostetrici, come l’associazione tra depressione e rischio aumentato di parto pretermine e basso peso alla nascita.
La depressione non trattata ha un impatto significativo anche a lungo termine sulla salute della madre e del bambino. Nonostante i frequenti contatti della donna con i servizi sanitari durante la gravidanza e nel periodo postnatale rappresentino un’occasione per individuare le condizioni di disagio psichico e prevenirne gli esiti, oltre il 50% dei casi non viene riconosciuto (Primo Rapporto ItOss di Sorveglianza sulla mortalità materna, pag 66)
Cominciamo dalla gravidanza: che sia stata una sorpresa o sia una gravidanza cercata, la coppia dovrebbe poter prepararsi assieme all’arrivo del bimbo: questo non significa solo preparare lo spazio per il bambino e tutto il corredo (i bambini, infondo, hanno bisogno di poco), ma significa effettivamente fare spazio all’arrivo di una persona importante che avrà bisogni concreti, rimanendo coppia e iniziando un percorso come genitori, ognuno a proprio modo e secondo il proprio genere.
Primo suggerimento: un corso d’accompagnamento alla nascita che fornisca informazioni tecniche e scientifiche sulla gravidanza, il parto e l’allattamento in modo tale che la coppia acquisisca le informazioni che reputa necessarie e le sfrutti in modo personale (siamo tutti diversi e dobbiamo mantenerci tali).
Secondo suggerimento: le mamme sanno farlo. Sanno essere mamme “sufficientemente buone” (come diceva Winnicot) e hanno bisogno di avere intorno persone che si fidano. Per cui il papà deve fare un lavoro da… ‘cane da pastore’ che lascia che mamma e bambino si conoscano e si adattino bene: occuparsi degli altri fratelli, della casa, dei pasti e della casa è un bel traguardo.
Darei adesso la parola, di nuovo, alle indicazioni che la dottoressa Incurvati rivolge a una neo-mamma e che potrebbero dare tanti spunti: «Possiamo decisamente affermare che le energie investite durante il puerperio sono notevoli! È possibile, tuttavia, dare qualche utile suggerimento per vivere al meglio un simile periodo? Sicuramente sì, provo a dare solo qualche spunto:
1. Stabilire delle priorità. Tu insieme al tuo partner fate una scaletta dei momenti per voi più importanti, delle attività a cui non volete/potete proprio rinunciare (inserisci tra gli altri il sonno e una sana alimentazione che ti aiuterà a rimanere in forma). Organizzate la giornata a partire dalle priorità che vi siete dati, con flessibilità e pazienza, ma anche fermezza. Tutto il resto può attendere, compresi nonni invadenti, lavatrici da stendere e tanto altro.
2. Coccolarsi un po’. Lascia il bambino in mani fidate e dedicati del tempo per una doccia rigenerante, una passeggiata all’aria aperta, un gelato da soli con il papà, o cose simili che ti diano giovamento mentale. Vari studi dimostrano la correlazione esistente tra il benessere materno e quello del bambino. Tanto più la madre ha modo di ristabilire e mantenere un equilibrio tra i bisogni del piccolo e i suoi, tanto migliore potrà essere la qualità della relazione tra loro. Prendersi un breve tempo per sé, affidare il neonato nelle mani sicure del papà, di un nonno o di una cara amica non toglie nulla al legame fortissimo mamma-infante. Anzi nel breve spazio dell’attesa fino al ricongiungimento con la mamma, il bimbo imparerà gradualmente a costruirsi un’immagine stabile di mamma che torna sempre da lui, dunque di una base sicura.
3. Chiedi aiuto. Datti la possibilità di parlare con qualcuno. In questo spazio vorrei evidenziare l’importanza di parlare con il papà, qualora egli sia presente. Decisamente vive un’esperienza tanto diversa dalla tua, eppure condivide con te più di chiunque altro. Chiedere aiuto al proprio uomo non è utile solo ai fini meramente pratici della suddivisione del peso degli incarichi domestici, aspetto non marginale, ma soprattutto rappresenta una fondamentale occasione per permettergli di essere padre e marito/compagno. La coppia ha un grande valore, sia come risorsa reciproca tra adulti ma anche come notevole ricchezza per il figlio. Un bambino sperimenta l’amore non solo quando è attaccato al seno, ma anche quando è circondato da un clima caldo, quando vede o sente la risata di mamma e papà, la compagnia giocosa dei fratellini. Per affrontare al meglio una nuova nascita si può ricorrere alle varie risorse familiari, partendo dalla collaborazione di entrambe le figure genitoriali.
Quindi, possiamo affermare che è molto importante preservare il benessere psicofisico dei genitori. Abbiamo visto quali spazi è possibile ritagliare ma anche quanti vantaggi sono comprovati. Allora se abbiamo capito il valore del prenderci cura di noi stessi, di quanto giovamento proporzionalmente avrà il fagottino, allora più semplicemente e serenamente possiamo assumerci il diritto di “curare” noi stessi».
Per quanto riguarda le due situazioni (depressione post parto e baby blues) sarebbe importante cercare di sapere lo stato di salute della mamma e conoscere chi può fornire aiuto (anche uno specialista): le neomamme non hanno bisogno di stare sole.
Tutte le donne che ho conosciuto, erano molto spaventate dal fatto di vivere il primo mese affrontando tutte le ore della vita con un neonato, senza avere un appoggio, un aiuto, un confronto. Ecco perché i gruppi Facebook per neo-mamme sono frequentatissimi. Purtroppo io faccio parte ancora di quel tipo di persone che pensano che la virtualità nelle relazioni sia dannosa: le mamme dovrebbero ricevere vero aiuto da persone reali.
Prima di tutto il neo-papà (le indicazioni le ho provate a dare prima), poi i propri genitori o parenti magari disponibili a fare le pulizie, fornire pasti caldi, occuparsi di altri bambini. Necessarie sono le amiche: cercando di non farsi annoverare nel cosiddetto ‘esercito dei consigliatori’, è importante cercare di assecondare i bisogni della neo-mamma, supportandola, custodendola. Questo in caso di baby-blues, ma soprattutto (anche confrontandosi con un operatore o con l’operatore che ha in cura la mamma) in caso di depressione.
Un paio di chiarimenti. Le neo-mamme, quando giungono alla fine della gravidanza, devono intraprendere un vero e proprio slalom tra i reparti maternità (1): alcuni sono gestiti benissimo (le donne vengono aiutate, sostenute, consigliate ma trattate in modo tale che prendano decisioni adatte per loro stesse), altri in maniera pessima (donne in travaglio lasciate sole con unica possibilità quella di richiedere un’analgesia o il cesareo).
Per non parlare dell’allattamento (2): si va da ospedali che possiedono operatori informatissimi e molto competenti, a cliniche dove vigono indicazioni da ‘pedagogia nera’ fine ‘800. Inoltre la donna viene dimessa molto presto (3), quando ancora la montata lattea non è avvenuta, cosa che obbliga i mariti a riportare la mamma in clinica perché non sa cosa fare, o a correre in farmacia per ricevere informazioni (le ennesime) di solito piuttosto grossolane.
Tuttavia questa scelta di dimettere presto la donna appare quasi deleteria per l’allattamento, in quelle cliniche dove il personale sanitario non è formato (4). Poi c’è l’incubo fatto dai parenti (5) che possono essere assenti del tutto, presenti ma invadenti, presenti ma sarebbe meglio non ci fossero, presenti e adatti alla loro funzione. Questa situazione influenza sia l’adattamento della donna al suo essere madre, sia che relazione la madre avrà col bimbo (6).
Inoltre c’è il problema del permesso per paternità, sempre irrisorio e quasi inutile dal poco tempo che mette a disposizione (7). Infine c’è la drammatica solitudine (7) che tutte le donne – sole effettivamente o nella pratica (pensiamo a coloro che hanno in casa parenti) – devono affrontare perché la maternità, che dovrebbe essere grandissimo oggetto di tutela da parte dello Stato indipendentemente dal colore politico – è solo ed esclusivamente un evento privato che la donna vive e per il quale non dovrebbe far tanto rumore né pretendere alcunché.
Questo, a mio modestissimo avviso, è del tutto un dramma che ha portato le donne non a scegliere la maternità come una fase fisiologica e naturale della vita, da vivere bene e per la quale poi ricevere più credito morale da parte dello Stato.
Oggidì la donna che diventa madre deve quasi chiedere scusa se pretende ciò che le è di diritto, sia che viva una condizione di lavoratrice autonoma, sia che sia dipendente. Non parliamo poi della casalinga che è un ‘peso morto’ o della donna che mette al mondo un bimbo con qualche fragilità (se poi avrebbe potuto sopprimerlo in gravidanza e non l’ha fatto, non deve permettersi di pretendere alcunché).
La donna, oltre che essere madre e esserlo per tutta la società, dovrebbe ricevere un riconoscimento morale a livello statale anche solo per il fatto che dedicherà la sua vita, dal momento in cui nasce il suo bambino, all’educazione di un futuro cittadino. Si fa un gran citare il famoso proverbio “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, ma non ci si vuole fare i conti effettivamente.
Dal fatto che l’aborto stesso sia una non-scelta per molte donne (ovvero siano in tante a dover abortire: per la situazione affettiva, per la situazione lavorativa, per la situazione economica) che sono costrette a vivere nella solitudine (oramai con l’aborto farmacologico, tutto si fa ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’), magari tacendo le sofferenze psicologiche che da quel momento vivranno (il tabù non è l’aborto, ma la sofferenza post-aborto), anche la maternità è una scelta che la donna compie vivendosela del tutto in modo solitario, quasi il suo status fosse un disturbo per la cultura child-free che vive la nostra società.
Ogni volta che ognuno di noi sa che la propria vicina, l’amica, la Signora del piano di sopra, la collega, ha avuto un bambino, le recapiti un mazzo di fiori con scritto “Grazie per questo bambino” e chieda di cosa la Signora ha bisogno: pane, latte, un babysitteraggio degli altri figli. Questo aiuterebbe la ‘maternità’.
Nel ringraziare la partecipazione della dottoressa Incurvati a questo piccolo e modesto pezzo, ricordo che è possibile contattarla: Dott.ssa Miriam Incurvati, Psicologa dell’età evolutiva, miriam.incurvati@gmail.com
(Tutti i contenuti pubblicati nella presente rubrica, specialmente domande e risposte, sono di carattere informativo e in nessun caso devono essere considerati un sostituto di una visita specialistica)