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La Chiesa Cattolica riconosce meno dell’1% delle pretese guarigioni miracolose

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Francisco Vêneto - pubblicato il 25/06/21
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Sono numerosi i fedeli che testimoniano grazie o miracoli accordati loro dal Cielo, ma la Chiesa cattolica – da parte sua – è estremamente prudente quanto alla ricognizione del miracolo. Perché?

“È un miracolo!” è una delle espressioni di uso più comune. Nel linguaggio corrente la si utilizza per designare qualcosa a cui non si credeva più, ma per la Chiesa cattolica la parola “miracolo” esige una definizione ben precisa. Si tratta – si legge sul sito della Conferenza Episcopale Francese – di un 

La Bibbia designa i miracoli in termini di potenza (Es 9,16), di prodigio (Rom 1,19-29), di guarigione (Gv 9,1-41) e di segni (Gv 3,2). Il miracolo non è uno scopo in sé: dirige i nostri sguardi più in là rivelando la presenza immediata di Dio. Il miracolo non è spiegabile scientificamente. 

Non esiste un registro che recensisca su scala mondiale l’insieme delle dichiarazioni di miracoli, ma solo il santuario di Lourdes ha ricevuto 7.200 segnalazioni di guarigioni in 160 anni… tutto lascia pensare che al mondo ci siano decine o centinaia di migliaia di casi di guarigioni inspiegate. 

Altro però è “dichiarare”, altro “convalidare”: di tutte le guarigioni segnalate, il santuario di Lourdes non ne ha riconosciute che 70 come miracolose, vale a dire meno dell’1%. Una proporzione che si suppone essere lì la medesima che altrove e dappertutto: la Chiesa cattolica è sempre stata molto prudente, in questo dominio. 

Il cardinale Prospero Lambertini, che sarebbe poi diventato papa col nome di Benedetto XVI dal 1740 al 1758, è stato condotto ad occuparsi di differenti processi di beatificazione e di canonizzazione. Ritenendo che le guarigioni menzionate nei dossier venissero troppo facilmente qualificate di miracolose, nella sua opera “De servorum beatificazione et beatorum canonizatione” (al libro IV, capitolo VIII) stilò una lista di sette criterî di riconoscimento di una guarigione miracolosa. Eccola: 

    Sulla scia di queste disposizioni, si conduce ancora oggi una vera inchiesta che dura un periodo tra i 5 e i 15 anni dalla guarigione ritenuta “miracolosa”. Si noti che il tempo minimo di 5 anni si ricalca sui termini legali dopo i quali si parla di guarigione da malattia fisica grave. Il principale responsabile, che segue l’inchiesta e ne è tenuto al corrente, è anzitutto il vescovo della diocesi in cui vive la persona guarita: egli sottopone il caso di guarigione insperata a un gruppo di esperti – teologi e medici, credenti e non credenti. Il presunto miracolato viene interrogato, poi esaminato, il suo dossier medico scartabellato a fondo. In funzione del parere finale, il vescovo decide di aprire un’inchiesta o di archiviare la procedura. 

    «Se la dichiarazione ha catturato la sua attenzione, il vescovo richiede la costituzione di una commissione incaricata di istruire l’inchiesta», precisa il sito francese “Villes-Sanctuaires”: 

    A lui spetta, senza che gli incomba l’obbligo di sottoporre il caso alla Sede Apostolica, considerare l’aspetto miracoloso e inspiegato della guarigione. 

    Se la Chiesa cattolica prende tutte le precauzioni prima di riconoscere un miracolo, non si tratta con ciò di subordinare la fede alla scienza o alla medicina. Come scriveva Giovanni Paolo II nella sua enciclica Fides et ratio

    [traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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