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Perché non dobbiamo non dirci contrari al ddl Zan

UNITED KINGDOM, London : Protesters gather outside the Houses of Parliament in central London on June 3, 2013, in support of same-sex marriage. A "wrecking amendment" aimed at derailing the government's same-sex marriage bill, which was passed in the Commons despite the opposition of 133 Tory MPs, is being debated in the House of Lords. AFP PHOTO/Leon Neal

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 23/06/21
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L’embrionale “crisi diplomatica” suscitata fra Santa Sede e Italia per via della “nota verbale” in merito al disegno di legge “contro l’omo-trans-fobia” verrà decisa nel suo sviluppo da Mario Draghi in queste ore. L’intervento Vaticano, però, fa affiorare alcune considerazioni.

Difficile sapere se sia stato per solo calcolo politico, ma di certo se “gli uscieri” della Farnesina non avessero passato al Corriere la corposa soffiata sulla conversazione intercorsa il 17 giugno scorso a Palazzo Borromeo – protagonisti mons. Paul Gallagher e s.e. Pietro Sebastiani, testimone Sally Jane Axworthy (dimissionaria ambasciatrice UK presso la Santa Sede) – oggi non saremmo costretti a partecipare al chiacchiericcio su fantomatiche “ingerenze” vaticane negli affari italiani. 

E che sarebbe successo, allora? Nessuno può saperlo con certezza, ma presumibilmente qualcosa di poco percettibile dal di fuori: di sicuro non un ritiro del ddl (evento vistosissimo), ma più verosimilmente una pacifica protrazione delle audizioni in Commissione… e poi l’estate, le amministrative, le quirinarie, le politiche… un lento e inesorabile rimescolamento di carte dopo il quale si sarebbero ricontati i punti e rimisurati i rapporti di forza. E chi vivrà vedrà. 

E ora invece cosa accadrà? Molto dipenderà da quel che dirà Mario Draghi oggi pomeriggio in Parlamento, facendo seguito a quanto annunciato a caldo (anche se il premier era già informato) nella giornata di ieri. È chiaro che lo aspettano tutti al varco, e che nella gestione che Draghi saprà avere di questa embrionale crisi diplomatica il suo prestigio politico potrà consolidarsi enormemente o screpolarsi prematuramente: l’ex presidente della BCE è già in pole-position per il Colle, e al Quirinale dovrebbe sedere una figura che si sia mostrata capace di garantire le istituzioni senza faziosità – un po’ “piacere a tutti”, insomma, e un po’ “non dispiacere (troppo) ad alcuno”. 

Nel frattempo gli italiani si dedicano a coltivare quella sempiterna nemica del pensiero che è l’opinione, e i giornaloni rincorrono i video di Fedez “contro il Concordato” con le dichiarazioni di Elodie “grazie mamma per non avermi battezzata”. Nessun pericolo, nell’immediato: dire che il Concordato tra Stato italiano e Chiesa Cattolica è un’inutile zavorra è in sé e per sé un’innocua (per quanto ignorante) opinione. Un Fedez dovrebbe prima formare un soggetto politico e farsi votare, quindi entrare in Parlamento, sostenere un Governo ed esservi così influente da poter proporre e approvare una riforma costituzionale… e a quel punto si potrebbe aprire il capitolo “revisione del Concordato”. 

Si farebbe però male a sottovalutare come mere chiacchiere di buontemponi questi inquietanti fenomeni di costume: se si può portare un giudizio severo sugli effetti deleteri della “mediocrazia” degli anni ’90 sull’attuale scenario socio-politico, il giorno in cui un Fedez decidesse di assecondare la propria inclinazione da capopopolo dovrebbe essere temuto e non sottovalutato con la sicumera di Piero Fassino che del rumoroso Beppe Grillo disse, all’epoca, “che faccia un partito e vediamo quanti voti prende”. Se proprio nel 1993 Marco Masini vaticinava il mondo di giovani la cui «religione / è di credere ai cantanti», quegli adolescenti adesso non solo votano, ma per buona parte sono diventati anche genitori di bambini dai 2 mesi ai 18 anni, e dunque costituiscono buona parte del target del ddl Zan (quanto all’indottrinamento scolastico sui figli) e si ritrovano tra l’incudine della loro disorientata prole e il martello dei loro pifferai magici di riferimento. 

Avvalendosi della smemoratezza cronica comportata dalla subcultura dello zapping, gli stessi partiti che ieri invitavano la politica italiana a «rifarsi alle parole del Papa», oggi urlano all’“ingerenza” vaticana e mandano in loop sui social il mantra della “laicità dello Stato”.

A contorno di questi sofismi, si aggiunge anche il contorno di fallacie emotivamente funzionali come il riferimento a «la lezione dell’Aborto e dell’Eutanasia», intendendo con ciò che le (cosiddette) “battaglie di civiltà” avrebbero visto la Chiesa sempre contraria e sempre sconfitta. 

Effettivamente è vero – ed ha avuto il merito di ricordarlo, oggi su Il Mattino, la prof.ssa Maria D’Arienzo – che «in occasione della discussione sulla legge per il divorzio» ci furono dei precedenti alla “nota verbale” consegnata il 17 giugno all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede: 

La chiosa canonistica dell’accademica sembrerebbe portare acqua al mulino di quanti si rifanno al precedente delle “battaglie di civiltà”, ma in realtà le sue considerazioni restano remote dal loro triplice sottotesto: 

    Questa positivistica e veramente gaia “scienza” è falsa in ognuna delle sue radici: 

      Se la CEI ha un diritto nativo di intervenire nella politica nazionale italiana, in quanto tutti i suoi membri sono cittadini italiani titolari di diritti politici, la Santa Sede lo fa non di punto in bianco, ma sulla base di un trattato internazionale bilaterale già in essere fra il proprio Stato e quello italiano.

      E quanto al resto, cioè alla novità del caso di specie: le (sciagurate) leggi che in Italia rendono possibili la rottura dei vincoli coniugali e l’infanticidio prenatale non prevedono pene per chi al contrario insegni l’indissolubilità del vincolo e l’indisponibilità della vita umana. Problema nuovo e ulteriore, che invece il ddl Zan pone. 

      Poniamo la semplice e molteplice domanda: “una volta che sia approvato il ddl Zan potremo noi cattolici continuare a 

        Ebbene, non esiste una risposta univoca a questa semplice e molteplice domanda, perché uno dei grandi vizî del ddl Zan sta nell’inadeguata circoscrizione della fattispecie criminosa: esso insomma invoca pene severe per punire un crimine dal contorno quanto mai sfocato – non si capisce infatti che cosa costituirebbe “istigazione all’odio omofobico”. La risposta più onesta alla semplice e molteplice domanda, dunque, sarebbe: dipende.

        Dipende da cosa? Dal giudice che trovi, il quale magari archivierà la pratica in quattr’e quattr’otto… ma magari no, e comunque ci si dovrà sottoporre a procedimento giudiziario per aver insegnato, probabilmente al campo estivo parrocchiale dove si presta la propria attività a titolo di volontariato, che nessuno nasce da “due mamme” o da “due papà”, e che lede gravemente un diritto umano (e dell’infanzia!) chi attenta a queste figure primordiali. E che dire del parroco a cui si presenteranno due conviventi a chiedere la benedizione sulla loro unione omoerotica? Il prete spiegherà che non è in suo potere conferirla, per ragioni canonistiche e teologiche… ma questo basterà a sottrarlo alla citazione in giudizio per “istigazione all’odio omofobico”? 

        Non è fantagiurisprudenza, purtroppo: il 6 febbraio 2014 in Spagna è stata aperta un’inchiesta giudiziaria a carico di mons. Fernando Sebastián Aguilar, all’epoca 84enne, per una semplice e pacifica dichiarazione. 

        Il contesto di queste dichiarazioni è parlante: si trattava di un’intervista rilasciata al giornale di Malaga Sur all’indomani della sua nomina cardinalizia annunciata il 12 gennaio dello stesso anno. L’intervistatore ha trovato sensato porre a un anziano prelato designato per la Porpora Romana una domanda sull’omosessualità, e quando il cardinale nominato ha candidamente (e fraternamente) risposto (in conformità con la dottrina della Chiesa), in quel momento è stata da lui sottoscritta la propria condanna a morte (metaforicamente e non solo). 

          Ovvio che non si può ascrivere direttamente all’apertura del fascicolo l’incidenza medica dell’ictus, ma gli ultimi anni di questo uomo buono, che in pensione era tornato a insegnare teologia ai fedeli, sono stati gli anni di un paria additato come hater dal quotidiano della sua città. Su di lui – non un prelato al culmine del potere né un parroco di campagna – è stata provata, in Spagna, la fattibilità di un tanto farsesco processo, che corroborava anche il noto intento totalitario “colpirne uno per educarne cento”. 

          Quello che si deve ancora capire a fondo, anche in certi segmenti ecclesiali, è che con avversari politici tanto ideologizzati non è possibile “concedere un dito e tenersi il braccio”: l’aggressione giuridica a mons. Aguilar è stata preceduta e preparata, per l’arco di un decennio, dall’approvazione del c.d. “matrimonio” gay (3 luglio 2005). Senza questo tassello, senza la martellante propaganda di media e star system, la popolazione spagnola sarebbe insorta contro il sopruso perpetrato ai danni di un concittadino emerito, che dopo aver fatto tanto bene in patria veniva insignito di uno dei massimi riconoscimenti ecclesiastici possibili. 

          Allo stesso modo, non si poteva pensare che in Italia si permettesse alla legge Cirinnà di andare in porto senza che già nel breve e medio periodo si palesassero nuove insidie per la libertà della Chiesa. 

          Dal punto di vista mediatico, la massa maggiore della Santa Sede ha fatto da parafulmine agli strali che nei mesi scorsi erano stati risparmiati a più piccoli bersagli per non favorirli. Quando Zan e sodali vanno in tv a fare i loro monologhi (l'ultimo ieri sera da Enrico Mentana), espongono narrazioni surreali per cui quello che vorrebbero fare sarebbe solo difendere i deboli dai prepotenti, e dunque non si capaciterebbero delle ostilità e delle resistenze.

          Che queste resistenze però – condite da perplessità e sofisticate spiegazioni – vengano da vasti settori dell'elaborazione femminista è inammissibile (e difatti viene semplicemente taciuto). Ieri sulla pagina Facebook di ArciLesbica si leggeva, ad esempio:

          E un'analoga strana circospezione – simile a quella di chi fiuta l'aria per assicurarsi di non mettersi controvento – serpeggia pure in ambiente cattolico: tra quanti comicamente protestano che “la Curia ha fatto questo contro il Papa!” e quanti più moderatamente argomentano “comunque la Santa Sede non ha chiesto il ritiro del ddl…” sembra che ci sia paura di dirsi dissenzienti (e in questo, invece, onore ad ArciLesbica!).

          Se però in democrazia veramente si può parlare di tutto, se in uno stato laico non devono esserci tabù, quale sarà mai il provvedimento tanto radioso da dover raccogliere in sé all'unanimità tutto l'arco parlamentare? Proprio un testo pasticciato che non definisce la fattispecie di reato e ne delega l'interpretazione al potere giudiziario dovrà miracolosamente raggrumare tanto consenso?

          Si può dire no: con semplicità, serenità e costanza. Si può dire di essere contrari a un testo che – dopo neanche un secolo! – mira a restaurare (ecco la parola giusta!) uno psicoreato in Italia. E non c'è motivo di vergognarsi di ciò. Ecco perché non dobbiamo non dirci contrari al ddl Zan.

          L’esito della crisi (allo stato attuale un irrilevante putiferio di carta sporca) verrà deciso dalle parole di Mario Draghi, come già all’inizio anticipavamo: è il caso di chiedersi “che draghi s’inventerà Draghi” per passare indenne tra Scilla e Cariddi. Se – come ci si può attendere – la lunga scuola gesuitica e le convinzioni di cattolico serio non resteranno nell’anticamera dell’azione politica, il premier proporrà all’intero arco parlamentare di “sedersi a un tavolo” per “vedere i nodi giuridici” e rendere il ddl – “un disegno di legge importante, di civiltà, che l’Europa attende da noi…” eccetera eccetera – “più accettabile per tutti”. 

          Se queste formule sortiranno l’effetto auspicato, il “putiferio di carta sporca” avrà un’ultima fiammata e rapidamente si ricomporrà nell’ossequio istituzionale all’uomo che avrà evitato l’escalation: a quel punto si rientrerà nello scenario preannunciato all’inizio e 

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